Il benvenuto a Cecilia e il progetto Borse Rosa

#borse rosa, #educazione, #educazione estero

Abbiamo conosciuto Cecilia grazie ad Alessandra De Luca, nostra volontaria in Sud Africa nell’estate 2007. Da allora Alessandra è tornata in Sud Africa varie volte, anche con suo marito Carlo.

Cecilia è entrata così nei nostri cuori: l’abbiamo vista crescere, anno dopo anno. 

E a inizio marzo è stata lei a venire per la prima volta in Italia, proprio qui a Milano. L’abbiamo conosciuta di persona, abbiamo chiacchierato con lei e abbiamo realizzato un video della sua storia: di come il sostegno per lei, e in generale per le ragazze, possa davvero fare la differenza per un futuro libero da imposizioni e scelte altrui.

Oggi Cecilia ha 21 anni e vorrebbe diventare medico: grazie all’incontro con la Fondazione e con Alessandra ha avuto l’opportunità di studiare. Senza saperlo, Alessandra e Cecilia hanno anticipato la nascita del progetto Borse Rosa, di cui oggi Cecilia diventa “testimonial” per eccellenza.

Ad oggi sono 129 milioni le bambine e le ragazze che, nel mondo, non hanno accesso alla scuola e sono spesso destinate a matrimoni precoci e combinati.
Attraverso Borse Rosa, Mission Bambini sostiene centinaia di ragazze come Cecilia nel loro percorso di istruzione superiore, aiutandole a diventare giovani donne più consapevoli dei propri diritti.

Da qui il desiderio di Alessandra e Carlo, insieme a Cecilia, di sostenere Borse Rosa per aiutare tante ragazzine in Brasile, Bangladesh, India e Uganda, perché l’esperienza con Cecilia ha dimostrato quanto l’istruzione possa fare la differenza per garantire loro un futuro, proprio come è stato per lei.

Sostieni anche tu il progetto Borse Rosa con Cecilia, Alessandra e Carlo: prendi per mano una bambina e accompagnala nella sua crescita.

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Borse Rosa, per le donne di oggi e di domani

#borse rosa, #educazione, #educazione estero

Il contesto

Rita Levi Montalcini, Malala Yousafzai, Margerita Hack: sono tante le donne che hanno fatto la storia con il proprio talento e la propria unicità. Tutte loro hanno una cosa in comune: sono state libere di realizzare i propri sogni.

Oggi, nel mondo, ci sono ancora 129 milioni di bambine e ragazze che non hanno la possibilità di realizzarli perché vivono in contesti difficili, dove le famiglie non riescono a garantire loro il proseguimento degli studi. Ciò, in molti casi, costringe queste giovani donne a matrimoni forzati e gravidanze precoci che tolgono loro qualsiasi libertà di poter fare scelte sul proprio futuro.

In particolare, in Bangladesh, questa situazione riguarda la comunità Dalit che viene fortemente discriminata; qui il 59% delle ragazze sotto ai 18 anni è costretta a sposarsi con uomini più grandi. 

In India, nella regione dell’Andhra Pradesh, le famiglie non hanno ancora percepito quanto sia importante lo studio per le proprie figlie, le quali sono oggetto di matrimoni forzati prima dei 18 anni nel 29% dei casi. Una situazione simile esiste anche in Uganda, dove il 7% delle bambine si sposa anche prima di aver raggiunto i 15 anni di età.

In Brasile, nello stato di Paraíba, si trovano numerosi quartieri poveri dove è preponderante la cultura patriarcale e maschilista e la criminalità è molto diffusa. Le ragazze nate qui cercano di allontanarsi da questo contesto, cadendo però spesso in relazioni sbagliate e gravidanze precoci.

Un futuro per queste ragazze

Proprio in questi Paesi abbiamo deciso di impegnarci, in collaborazione con partner locali, per dare a bambine e ragazze la possibilità che meritano: quella di essere libere di diventare ciò che vorranno. Lo facciamo dal 2018 con il progetto Borse Rosa.

L’obiettivo primario è quello di garantire l’accesso all’istruzione secondaria e universitaria a bambine e ragazze così che possano veramente diventare indipendenti dal punto di vista economico, senza essere costrette a sposarsi. Il supporto concreto consiste nella fornitura di materiali didattici e prodotti igienici, nelle spese di vitto e alloggio, nel pagamento delle rette scolastiche e in un supporto psicologico per coloro che ne hanno bisogno. Queste sono le Borse (di studio) Rosa che abbiamo pensato per loro.

In questi anni abbiamo visto più di 1000 ragazze finire la scuola secondaria grazie a questi sostegni, e 675 di loro hanno partecipato anche a corsi professionalizzanti di fashion design, sartoria, informatica, turismo o infermieristica.

Spesso, per dare veramente a queste giovani donne la possibilità di essere libere, serve intervenire su dogmi culturali radicati da tempo: per questo organizziamo anche incontri periodici in loco con genitori e leader comunitari così da promuovere l’importanza dell’educazione, in particolare quella femminile.

Basona: il sogno per il suo futuro divenuto realtà

Basona ha 23 anni ed è nata in Bangladesh da una famiglia appartenente alla comunità Dalit, che in lingua locale significa “fuori casta”, il grado più basso della società. Per Basona nulla è stato facile sin da quando era piccola, nonostante ciò ha imparato ad apprezzare le piccole cose. Quando la sua mamma si prendeva cura di lei, nella sua mente nasceva il desiderio di fare lo stesso per tutti coloro che ne avevano più bisogno, in particolare per i malati. Il suo sogno era infatti quello di diventare infermiera, un sogno che era destinato a rimanere tale visto che nessuna donna che conosceva era mai riuscita a scegliere la propria professione.

Questa era la condizione di Basona fino a quando la sua famiglia non ha conosciuto Dalit, ONG bengalese e nostro partner, con il quale collaboriamo per rendere felici e autonome le giovani donne come lei. Da quel momento Basona ha concluso la scuola primaria e ha frequentato il Satkhira Nursing Institute ottenendo ottimi risultati. E non è finita qui: ha potuto svolgere un tirocinio come infermiera e ora sta per laurearsi. Il suo sogno si è trasformato così in un obiettivo concreto, quello di lavorare in un ospedale pubblico.

È proprio questa la possibilità che dovrebbe avere ogni persona: quella di essere libera di diventare ciò che vorrà con il proprio talento e la propria unicità.


Aiuta le bambine e ragazze in difficoltà: scopri come accompagnarle a essere protagoniste del loro futuro.

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Beppe Sala in visita a Mission Bambini

#educazione, #salute

Il 16 maggio è stata una giornata importante per la nostra Fondazione: il Sindaco di Milano, Beppe Sala, è venuto a trovarci!

Una visita istituzionale per conoscere i progetti di Mission Bambini e per portare i ringraziamenti di tutta la città.

Ad accoglierlo il nostro Presidente, l’Ingegner Goffredo Modena; la nostra Direttrice Generale, Sara Modena; tutto lo staff e una delegazione di nostri volontari.

“Nel mio essere Sindaco – ha dichiarato Beppe Sala – ho capito che i milanesi sono molto esigenti, ma anche molto generosi. Esprimono senso di solidarietà, guardando al futuro e allo sviluppo sostenibile. C’è tanta brava gente in questa città e voi di Mission Bambini ne siete l’esempio: anima e cuore si uniscono alla capacità organizzativa e tutto funziona”.

Durante la visita ha potuto conoscere i nostri progetti e le persone che si impegnano per realizzarli. Per tutti noi è stato un onore poter accogliere il primo cittadino del comune nel quale la nostra Fondazione è nata; un onore che condividiamo con tutti i nostri sostenitori.

 

Questa è Mission Bambini: siamo persone vere e vere persone che si impegnano, ogni giorno, per rendere felici e sani i bambini.

 

Missioni all’estero: bambini e volontari di nuovo insieme

#adozioni a distanza, #educazione, #educazione estero, #volontariato, #volontariato internazionale

Estate 2022: dopo due anni di stop, riprendono le missioni dei nostri volontari all’estero.

Ed è proprio con tre delle nostre volontarie – Ilaria, Valentina e Maria Elena – che abbiamo viaggiato in Repubblica Dominicana, più precisamente sul nostro progetto di educazione a Puerto Plata.

 

“È stata un’esperienza meravigliosa – racconta Maria Elena – Ho visto la realtà così com’è, senza filtri, ma allo stesso tempo mi sono sempre sentita al sicuro. La cosa più bella è la relazione che crei con i bimbi, che con un sorriso e uno sguardo ti trasmettono tutto”. 

Partire per una missione all’estero è sicuramente un’esperienza unica, e lo diventa ancor di più se rappresenta il primo viaggio in un Paese così lontano e in un contesto caratterizzato da disagio e povertà. È dunque normale, come ci raccontano le giovani volontarie, sentirsi spaesate i primi giorni; allo stesso tempo, provare l’adrenalina che caratterizza le prime esperienze ti fa scoprire di avere uno spirito di adattamento che mai avresti pensato di possedere.

 

 

La proprietaria dell’appartamento dove alloggiavano le ha trattate come figlie, le persone del luogo sono state super calorose e accoglienti. Anche i bambini sono certamente stati d’aiuto nel farle sentire a casa: tra attività ludiche in cortile, laboratori di disegno e qualche breve gita, il clima si è fatto subito più leggero. Ci raccontano che i più piccoli tendono ad affezionarsi subito e a essere più espansivi, mentre i più grandi ti guardano con curiosità e con loro si viene a creare un rapporto di dialogo e complicità.

“Abbiamo percepito un senso di dignità molto profondo, il che non è scontato – fa notare Ilaria. I bambini erano sempre puliti e ordinati, venivano educati all’igiene, e gli spazi comuni erano sempre in ordine… Viene dato molto valore e importanza all’educazione a tutto tondo.” 

 

 

Ilaria, Valentina e Maria Elena si sono portate a casa bellissimi ricordi da questa missione, definendola “una botta di vita ed energia incredibile”, e non vedono l’ora di ripartire per un’altra esperienza a contatto con i nostri bambini.

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In Bangladesh dai Dalit: tra consapevolezza del presente e sogni per il futuro

#adozioni a distanza, #educazione, #educazione estero

Oggi, con questo articolo che racconta la missione in Bangladesh della nostra Program Coordinator Maria Torelli, vogliamo non solo parlarvi del contesto in cui vivono i bambini che insieme sosteniamo; vogliamo che sia anche l’occasione per dare voce ai bimbi, alle ragazze, alle mamme e ai papà che vivono nei villaggi, nonché dare valore all’operato del nostro partner locale DALIT NGO e del Direttore Esecutivo, Swapon Kumar Das, detto Lino.

 

Uno sguardo a tutto tondo

I Dalit, i “fuori casta”, sono circa il 5% della popolazione, anche se non vi è mai stato un censimento ufficiale poiché, secondo la Costituzione del Bangladesh, le caste non esistono più. Nella pratica però il sistema risulta tuttora in vigore; secondo il governo i Dalit sarebbero 6 milioni, ma si stima che siano decisamente di più (circa 9-10 milioni).

La zona del progetto (distretti di Satkhira e Khulna) è situata nella parte sud ovest del Bangladesh, nel distretto di Satkhira, non lontano dal confine con l’India.


A discapito della crescita economica costante, il Bangladesh rimane un paese povero, con il 14,3% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. Sono in particolare le comunità fuori casta i gruppi più emarginati dal punto di vista sociale, economico e politico e che vivono in condizioni di povertà o di povertà estrema. Molti fuori casta, infatti, pur abitando in villaggi rurali, non possiedono terreni e molto spesso cambiano la loro principale occupazione, svolgendo impieghi giornalieri saltuari. Molti bambini, a causa delle difficoltà economiche della famiglia, sono spinti dai genitori a cominciare a lavorare in giovanissima età, e molte ragazze sono costrette a sposarsi giovanissime con matrimoni combinati per non pesare sull’economia familiare. Le condizioni socioeconomiche della popolazione, inclusi i Dalit, sono inoltre peggiorate sia a causa della pandemia da Covid-19, che in Bangladesh è stata affrontata con ripetuti lockdown estesi, sia a causa della guerra in Ucraina che ha fatto più che raddoppiare il prezzo dell’olio da cucina e aumentare significativamente il prezzo del riso, che lì è l’alimento base.

 

Diamo voce a coloro che vogliono farsi sentire

Il progetto educativo si rivolge a circa 900 beneficiari, ed ha come obiettivo il raggiungimento di un’educazione inclusiva e di qualità per migliorare il livello di alfabetizzazione e istruzione dei bambini e delle bambine fuoricasta e di altre comunità marginalizzate, favorendo l’inserimento scolastico nelle scuole pubbliche e riducendo la discriminazione affinché possano evitare il drop out e raggiungere il diploma primario e secondario e, per le ragazze più meritevoli, continuare con gli studi terziari.

 

Nel primo villaggio in cui abbiamo fatto tappa, quello di Dhulanda, abbiamo incontrato una ragazza che si è sposata in VIII classe e che ha un bambino di qualche mese, e poi un gruppo di ragazze madri che dialogavano con alcune ragazze non sposate.

Mamma 1: “Mi sono sposata a 15 anni, quando ero in X classe e ho un figlio di 2 anni. Non volevo, ma i miei genitori hanno insistito. Avrei voluto continuare a studiare ma mio marito dice che non abbiamo abbastanza soldi.”

Mamma 2: “Anche per me è andata esattamente così, ho un figlio di 2 anni nato subito dopo il matrimonio” 

Mamma 3: “I miei genitori mi hanno obbligata a sposarmi quando facevo la V. La mia famiglia è molto povera e non avrebbero potuto mantenermi. Hanno pagato 25.000 taka (circa 250 euro) per la dote, anche se sarebbe vietata per legge, e mio marito esige ancora un’integrazione. Se penso a mia figlia, certamente questo a lei non avverrà, dovrà finire gli studi prima di sposarsi.”

Mamma 4: “Anch’io mi sono sposata in V. Non ero d’accordo, ma poi ho dovuto cedere. Sono sposata da 5 anni e ho un figlio di 3. Spero che lui possa continuare gli studi e che poi trovi un buon lavoro.”

Mamma 5: “La mia storia è un po’ diversa perché io ho acconsentito al matrimonio. Durante la pandemia ero in XI classe e non sapevamo per quanto tempo sarebbe continuato il lockdown. Avevo già 17 anni e temevo che l’isolamento sarebbe durato per anni, impedendo la ripresa dei miei studi e rendendo più difficile trovare marito a causa della mia età avanzata, quindi ho pensato che fosse meglio sposarmi.”

Ragazza non sposata: “E’ molto utile ascoltare le storie delle ragazze che purtroppo hanno dovuto sposarsi prima di diventare maggiorenni. Ho deciso che voglio continuare gli studi e sposarmi solo dopo aver trovato un lavoro. Non ci sono motivi che possano indurci a sposarci prima. Anche se i nostri nonni sono anziani e vorrebbero vederci sposate, noi dobbiamo dire che quello che conta è il nostro futuro. Io attualmente frequento la XII e vorrei diventare poliziotta.”


 

Nel villaggio di Muragachha abbiamo parlato con un gruppo di mamme e nonne presenti fuori dalla scuola, a cui si è rapidamente aggiunto un gruppo di padri con i quali si è discusso di educazione e matrimoni precoci.

Madre 1: “Io non sono mai andata a scuola. Non so di preciso quanti anni ho, ma credo circa 40. Sentendo questi discorsi, quasi quasi viene voglia anche a me di andare a scuola. E’ davvero importante che i nostri figli continuino a studiare.”

Padre 1: “In passato il nostro villaggio era conosciuto perché eravamo soliti mangiare la carne di mucche ormai morte che erano state gettate nel fiume. Ora questa pratica appartiene al passato. Ma adesso non dobbiamo guardare al passato, quello che è stato è stato. Io ho fatto sposare mia figlia quando frequentava l’VIII classe. Quattro mesi fa suo marito l’ha ripudiata ed è tornata a casa. Ho capito di avere sbagliato e ora vorrei che possa riprendere gli studi.” 


 

Nel villaggio di Balia abbiamo incontrato i membri dello Youth Club poiché, essendo pomeriggio, le lezioni nella scuola DALIT erano terminate. Gli Youth Club sono associazioni, presenti nei diversi villaggi, con membri dai 16 anni ai 35 anni che frequentano almeno l’VIII classe.

A Balia il gruppo è composto da 30 persone, di cui 5 ragazze. Il club, attivo dal 2019, sta svolgendo un ottimo lavoro per quanto riguarda la relazione con il governo e in particolare la possibilità di accedere a opportunità governative, ad esempio il technical training (autista, riparatore di frigorifero, riparatore di computer…) o per sussidi per persone appartenenti a categorie vulnerabili spesso analfabete, o ancora per risolvere difficoltà del villaggio (mancanza d’acqua, elettricità, pavimentazione strade etc). Ha inoltre un ruolo fondamentale nella prevenzione dei matrimoni precoci e nella sensibilizzazione sull’uso di droga e i rischi dei social network. Durante la fase acuta della pandemia i membri hanno distribuito mascherine e hanno registrato gli abitanti per le vaccinazioni. Intervengono anche per risolvere controversie, mentre prima venivano chiamate persone di alta casta che le alimentavano per impadronirsi dei terreni. Hanno infine organizzato un torneo di sport e competizioni culturali con altri villaggi per conoscersi, e preparano eventi di danza per i bambini che a scuola sono generalmente esclusi da queste attività in quanto Dalit. 

Giovane 1: “I nostri genitori pensavano che la nostra condizione di marginalità fosse il nostro destino e che fosse sufficiente mangiare e vivere perché non sapevano neanche cosa fosse l’educazione. Ma adesso i loro occhi si stanno aprendo sulla discriminazione e la violenza da parte di alcune persone di alta casta. Il nostro ruolo fondamentale è quello di esigere che i nostri diritti vengano rispettati.”

Giovane 2, presidente del club: “Le nostre mamme non erano istruite, e senza educazione il futuro è buio. Noi vogliamo essere agenti di cambiamento e permettere al villaggio di liberarsi dai tabù grazie all’istruzione. L’aiuto di DALIT in questo percorso è stato fondamentale e in questi 3 anni abbiamo avuto risultati che non avremmo mai immaginato.”

Giovane 3: “Grazie alle attività svolte dal club, dal 2019 è avvenuto un solo matrimonio precoce. Siamo invece riusciti a sventare 3 tentativi di matrimoni precoci nel 2021.”


 

Abbiamo infine avuto l’occasione di parlare direttamente con alcune ragazze beneficiarie del programma Borse Rosa.

Sopna: “Sto studiando per la laurea triennale in inglese. Mio padre fa il contadino e mia madre è casalinga. E’ importante che le ragazze siano istruite adeguatamente. Poi si può scegliere di essere moglie e madre, ma non va bene diventarlo essendo analfabete.”

Pushpa: “Studio giurisprudenza a Khulna e vorrei diventare giudice. È molto interessante vedere qui con noi oggi due donne: una (Nazmun Nahar, Upazila Women’s Affairs Officer di Tala, NdR) è un esempio vivente di cosa si può fare per prevenire i matrimoni precoci, l’altra è venuta dall’estero quindi è la dimostrazione che anche le donne possono viaggiare da sole se studiano. Prima non c’erano opportunità educative per i Dalit, non avevamo scelta. Ora dobbiamo cambiare mentalità: noi donne, insieme agli uomini, possiamo essere agenti di cambiamento. Noi ragazze dobbiamo sempre ricordarci che dobbiamo essere gentili come fiori ma anche forti come il fuoco.”

Sumita: “DALIT mi ha sostenuta nel mio percorso educativo sin dalla scuola dell’infanzia e ora studio all’università. La mia esperienza non è stata priva di ostacoli, perché in IX avevo scelto di studiare scienze ma ho avuto difficoltà a passare l’esame di Secondary School Certificate alla fine della X e ho capito che sarebbe stato meglio passare al curriculum arte e, dopo la XII, mi sono iscritta a economia. Vorrei essere d’esempio per altre ragazze e portare la luce alla mia famiglia, ai Dalit e al Paese.”

Priya: “Noi ragazze sostenute dal progetto sentiamo il bisogno di restituire almeno in parte quello che stiamo ricevendo; abbiamo infatti costituito un piccolo fondo attraverso il quale aiutiamo persone povere che hanno bisogno, o anche qualcuna di noi che non riesce a pagare la quota prevista per gli esami. Oltre a questo, interveniamo sempre quando sentiamo che nel villaggio si sta organizzando un matrimonio precoce, parliamo coi genitori e, se non cambiano idea, contattiamo DALIT e la polizia.”

Jaya: “Io sono del villaggio di Banka e, in parallelo agli studi universitari per i quali ricevo un supporto da DALIT, ho seguito un corso di artigianato organizzato dal governo con il sostegno del Giappone e sto aiutando 60 donne del villaggio a confezionare borse realizzate con la iuta. Abbiamo già ricevuto un ordine di 1000 borse.”

I bambini di Kitanga e l’istruzione: un tesoro di cui avere cura

#adozioni a distanza, #educazione, #educazione estero

Aggiornamento al 14 luglio 2022

Padre Gaetano, il responsabile di progetto, ci ha dato notizia di un evento capitato qualche giorno fa: purtroppo è bruciato un dormitorio della St Aloysius School, scuola secondaria in cui studiano le ragazze che sosteniamo con il programma Borse Rosa. Fortunatamente l’incendio è sopraggiunto all’ora di cena, quindi nessuna ragazza è rimasta ferita.

Le 113 ragazze ospitate nel dormitorio hanno perso i loro averi personali (materassi e biancheria da letto, uniformi, materiali didattici e igienici). I genitori e alcuni donatori locali si sono subito resi disponibili per occuparsi della ricostruzione del dormitorio, ma abbiamo bisogno anche del tuo aiuto per provare a restituire alle ragazze ciò che hanno perso nell’incendio.

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Se ci seguite sui social – e se ancora non lo fate, questo è il momento giusto per farlo – saprete che due nostri colleghi, a fine maggio, sono stati in missione Cuore di Bimbi a Kampala, in Uganda. E poi cosa fai, sei in Uganda e non vai a trovare il nostro partner del progetto educativo? Così, dopo il buon esito delle operazioni salvavita per i bambini cardiopatici, Guido e Vincenzo si sono diretti a Kitanga da Padre Gaetano.

 

St. Clelia School: un’oasi sicura per gli studenti e le studentesse di Kitanga

L’esperienza di Kitanga nasce in risposta ad un bisogno fondamentale della comunità: l’istruzione, legata al sistema educativo ugandese, che così come si presenta è garantita solo alle classi sociali più agiate che possono permettersi scuole private costose. 

La Scuola Santa Clelia è nata come asilo nel 2005; nonostante si trovi in una zona rurale ed accolga solo bambini poveri, si tratta di una scuola modello che nel 2020/21 si è classificata 103° su 20.000 scuole in Uganda, e prima della regione sulla base dei risultati ottenuti dagli alunni agli esami che certificano il completamento dell’istruzione primaria.

Nel corso degli anni il Responsabile di progetto, Padre Gaetano Batanyenda, ha fatto molto per i bisogni della comunità, costruendo accanto alla scuola anche un’area di sviluppo industriale (con mulino, falegnameria, laboratorio di lavorazione del metallo, sartoria), un ospedale e una banca sociale che si occupa di erogare attività di microcredito alle donne.

L’obiettivo del nostro progetto è quello di garantire il raggiungimento di un’educazione inclusiva e di qualità ai bambini della St Clelia School, che ad oggi sono più di 850, e il proseguimento alla scuola secondaria per le 24 ragazze attualmente sostenute.

 

Tre parole per descrivere la nostra missione: accoglienza, calore, gratitudine

“Siamo arrivati intorno alle 17, dopo un viaggio di qualche ora. Appena scesi dall’auto siamo stati accolti da un fiume di bambini e ragazzi, di tutte le età, con in mano palme e rametti di ulivo, con cartelli di benvenuto con scritti i nostri nomi, e da una banda che ha riempito di colore e ritmo la strada verso il Centro gestito da Padre Gaetano” – ci racconta Guido, ancora felicemente sorpreso da tutta quella calorosa accoglienza.

 

“Nei giorni successivi Padre Gaetano ci ha fatto letteralmente da guida: la visita alla scuola e alle numerose classi era d’obbligo, e qui abbiamo potuto assistere a qualche lezione degli studenti più piccoli e a momenti di formazione delle ragazze sostenute attraverso il programma Borse Rosa.

 

Ci ha poi mostrato la struttura – ad uso femminile – dove alcune ragazze frequentano laboratori di cucito, e ci hanno detto di essere contente di poter apprendere delle skill che saranno loro utili nel mondo del lavoro. Non poteva infine mancare una deviazione al Lago Bunyonyi, un posto magico dalle mille sfumature di verde e azzurro, raggiungibile scendendo a valle lungo una strada sterrata.”

 

Guido ci parla di giornate intense, dove ogni minuto è stato riempito da posti da vedere, persone da conoscere e cose da fare: tra queste ultime, ci racconta di come lui e Vincenzo siano stati coinvolti nel preparare e poi servire ai bambini per merenda – sotto lo sguardo attento del personale del Centro – il frullato di banane, raccolte direttamente dal bananeto adiacente alla scuola.

È stato emozionante percepire e vedere con i nostri occhi la gratitudine verso Mission Bambini, sia da parte degli studenti che degli insegnanti. Sono tutti consapevoli che ricevere e garantire un’istruzione di qualità è qualcosa di importante e che si può fare solo insieme, collaborando e mettendo in comune le capacità di ciascuno.”

Il giorno dei saluti è infine giunto, e tutto lo staff della St. Clelia School ha organizzato un momento di festa con canti e balli per salutare i nostri colleghi; Guido ci assicura, e non facciamo fatica a crederci, che era impossibile non farsi coinvolgere da tutta quell’energia!

 

 


È appena uscito il nostro Annual Report, in cui potrai leggere come continuiamo a mettere al centro della nostra attenzione e del nostro operato i bambini, in Italia e nel mondo. 

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Congo: un’opportunità per i bambini di strada

#adozioni a distanza, #educazione, #educazione estero

Ai bambini di strada di Kinshasa serve solo una spinta: quella che possono dare accoglienza, istruzione e cure mediche, ma anche l’ascolto dei loro sogni e desideri per il futuro.

 

Repubblica Democratica del Congo: un Paese enorme e complesso

Da solo ha un’estensione territoriale pari a mezza Europa e attraversa quasi tutta l’Africa. Ha una storia coloniale e post-coloniale difficile, e da una ventina d’anni sta vivendo una delle più gravi crisi umanitarie a livello mondiale. È infatti segnato da una guerra civile, che ha causato circa 6 milioni di morti. Grandi ricchezze naturali nel sottosuolo come diamanti, oro e coltan attirano gli interessi di milizie e gruppi armati di varia natura, lasciando in povertà gran parte della popolazione.

 

Come restiamo #viciniaibambini?

Nella capitale sosteniamo dal 2010 il centro “Point d’Eau”, che accoglie bambini di strada. “Solo a Kinshasa, che ha un’area metropolitana di oltre 17 milioni di abitanti, i bambini di strada sono decine di migliaia” – ha raccontato durante un incontro online con i nostri donatori Giampaolo Musumeci, giornalista esperto di Africa da anni vicino alla Fondazione. “Orfani o abbandonati, questi bambini diventano facilmente preda delle bande criminali. Uno delinque non perché è cattivo, ma perché vittima di condizioni di povertà ed emarginazione. Il lavoro di Mission Bambini in questo contesto è meritorio, perché non è facile prendere per mano questi bambini, restituire loro un senso e una motivazione, tirarli fuori dalla strada”.   

 

 

Al Centro i bambini trovano uno spazio sicuro dove poter mangiare una volta al giorno, curare l’igiene personale, lavare i propri indumenti, farsi medicare, apprendere a leggere e scrivere, fermarsi a dormire. “Il centro è gestito dall’associazione locale OSEPER e grazie al nostro contributo – racconta Maria Torelli, Program coordinator della Fondazione – copriamo i costi per l’accoglienza di 65 bambini ogni anno. Oltre l’aiuto immediato, l’obiettivo è quello di reinserirli gradualmente nel loro nucleo familiare – se possibile – o nella società, attraverso progetti educativi che puntano alla loro autonomia”.

Mauro Besana, volontario di Mission Bambini che ha potuto visitare il nostro Centro di Kinshasa nel 2018, ci racconta di un bambino che ha conosciuto: “Abigael aveva 9 anni. Nato con una zoppia, a 3 anni è stato abbandonato sui binari del treno dal padre, che addossa a lui la colpa della separazione dalla moglie. Altri bambini di strada l’hanno trovato e portato al Centro. Qui gli educatori sono riusciti a coinvolgerlo, nominandolo responsabile dei conigli. Col tempo ha acquisito fiducia: oggi gioca a pallone e può finalmente fare il bambino”.

 

Anche tu hai l’opportunità di sostenere in modo regolare il Centro “Point d’Eau” e regalare una seconda opportunità ai bambini di strada di Kinshasa.

Sottoscrivi un’adozione a distanza!

#ColmaLaDifferenza

#educazione, #salute

«Fare la differenza».

Questa espressione indica solitamente un trattamento diverso nei confronti di una persona, dunque il suo significato è di media negativo.
Noi proponiamo un ribaltamento: fare la differenza in positivo, in un mondo che le differenze ancora le fa, per colmare il gap tra bambine e bambini e offrire a tutt* gli stessi diritti.

 

Il nostro obiettivo

Ci sono diversi modi per diventare attori attivi del cambiamento; noi pensiamo che l’azione più radicale sia agire alla base. Questo vuol dire intervenire sul contesto e offrire supporto a bambine e ragazze, così da promuovere l’empowerment femminile e collaborare all’appianamento della disparità di genere.

Abbiamo progetti attivi in vari ambiti e diversi Paesi del mondo (come il programma Borse Rosa), per poter agire prima che le differenze e le mancate opportunità rubino il futuro alle bambine.

 

Come interveniamo?

  •  Offrendo sostegno psicologico alle ragazze che provengono da contesti caratterizzati da povertà educativa, che spesso va a braccetto con violenze, abbandono, drop-out scolastico, dipendenze, ecc… Le accompagniamo verso una vita autonoma mediante residenzialità temporanea, laboratori formativi, tirocini e azioni di volontariato.

 

  •  Dando supporto a ragazze dagli 11 ai 16 anni all’interno delle scuole, organizzando laboratori multidisciplinari (sport, STEM, arte, ecc…), attivando sportelli di ascolto psicologico e indirizzandole nella scelta del loro futuro tramite attività di orientamento scolastico.

 

  •  Garantendo l’accesso alle cure necessarie (es. mediche, alimentari) e alla scuola, nonché la fornitura del materiale scolastico.

 

  •  Supportando le mamme con interventi specifici, mirati a rafforzare sia la loro identità, sia il loro ruolo di madri. Lo facciamo tramite offerte di beni per l’infanzia o prodotti alimentari, contributi economici – per far fronte ai bisogni delle loro famiglie – e accoglienza gratuita nei servizi 0-6 anni per i* loro bambin*. Infine accompagnandole nel loro percorso di mamme, attraverso corsi sulla genitorialità, e di donne, grazie a percorsi di formazione lavorativa.

 

Non possiamo sempre proteggere bambine e ragazze da una cultura che fa ancora troppe differenze, ma possiamo dare loro gli strumenti per renderle protagoniste del proprio futuro.

Unisciti a noi nel fare la differenza, aiutandole nella loro autodeterminazione e nell’avere consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità.

 

Una carovana del sorriso per i bambini della Tanzania

#adozioni a distanza, #educazione, #educazione estero

La nostra seconda missione all’estero ci ha portati in Tanzania, per visitare un nuovo progetto educativo a Mabilioni e per conoscere il partner locale. Ad accompagnare Maria Torelli – nostra program coordinator – anche Beppe Mambretti, Maruscka Nonini e Jeannette Rogalla, nuovi volontari della Fondazione e già volontari de “La Carovana del Sorriso”, a cui abbiamo dato il benvenuto durante l’estate.  

 

Dove ci troviamo? Il contesto e il popolo Masai

Il progetto si svolge a Mabilioni, nel comune di Hedaru: è una circoscrizione mista con una popolazione di oltre 18.000 abitanti, e dista 379 km dalla capitale della Tanzania, Dar Es Salaam. Il villaggio di Mabilioni dista 2 km dalla strada principale ed è al limite di un territorio popolato essenzialmente da Masai; ci troviamo infatti nella regione del Kilimanjaro, in piena steppa masai

Ed è proprio qui, al confine con il Kenya, che vive questo popolo antico che ha portato nella storia contemporanea le tradizioni del proprio passato. La loro lingua è il maa, dalla quale deriva il nome della popolazione. I masai sono tradizionalmente pastori semi-nomadi e il bestiame riveste per loro un’importanza vitale. I villaggi sono composti da rudimentali capanne rotonde costruite in legno e fango; al centro del villaggio è solitamente presente un recinto dove viene rinchiuso il bestiame durante la notte, per evitare gli attacchi dei predatori.

Anche gli abiti, spesso caratterizzati da stoffe di color rosso, sono rimasti immutati nel tempo; inoltre i masai indossano numerosi monili e gioielli, che tanto li rendono riconoscibili, su polsi, caviglie e collo. L’insieme dei colori utilizzati ha un significato ben preciso e aiuta ad identificare lo status sociale di chi li indossa.

 

Tanzania, al via un nuovo progetto

Ed eccoci giunti allo scopo del viaggio: visitare il nuovo progetto educativo a Mabilioni e conoscere il partner locale, i Brothers of Jesus the Good Shepherd. Ad accompagnare Maria Torelli c’erano dall’Italia anche i nostri nuovi volontari e già volontari de “La Carovana del Sorriso”, organizzazione di volontariato di Lecco che, dopo un impegno di 12 anni e la realizzazione di importanti opere per questa comunità, ha deciso di affiliarsi alla nostra Fondazione.

“Dando continuità al loro impegno – ci spiega Maria – la nostra Fondazione sosterrà “La Casa degli Angeli” di Mabilioni, struttura che accoglie attualmente 17 bambini e ragazzi che frequentano le scuole primarie e secondarie statali di questa località. Durante la mia permanenza ho visto con i miei occhi quanto i bambini siano trattati in maniera molto amorevole e attenta. La sveglia è alle 5 e i bambini escono per andare a scuola tra le 6 e le 6.30, a seconda della distanza. Ritornano all’incirca alle 17 e contribuiscono alla pulizia degli spazi e dei loro vestiti, alla cura degli animali, alla gestione del magazzino, nonché alla preparazione dei pasti: a seconda dell’età ciascuno svolge i propri compiti. Alla sera hanno sempre del tempo libero prima e dopo la cena. Il venerdì sera, in particolare, c’è una serata di sviluppo dei talenti, dove ciascun bambino può presentare una propria creazione o raccontare qualcosa: ecco come li si aiuta a sviluppare la fiducia in se stessi!”

Presso il Charity Village, di cui La Casa degli Angeli fa parte, vi sono anche uno spazio per attività ricreative, una chiesa dove i Brothers dicono messa ogni mattina, e un orto con ortaggi – per ridurre i costi degli acquisti esterni e per insegnare ai bambini a coltivare. Nella zona circostante sono stati piantati alberi e posizionati vasi con fiori e piante, per abbellire l’ambiente e creare ombra: ciò ha fatto sì che la zona si sia popolata anche di specie di uccelli variopinti. Esternamente al recinto è stato inoltre attrezzato un campo da calcio, per la gioia di grandi e piccoli.

 

“Cosa vuoi fare da grande?”: l’istruzione per aprire le porte del futuro

La scuola primaria si trova a 10 minuti a piedi dal Charity Village ed è frequentata da 9 bambini, mentre 8 ragazzi frequentano la scuola secondaria a Mabilioni.

Sostenuto dal progetto è anche un ragazzo masai, fortemente raccomandato dal preside della scuola del suo villaggio poiché talentuoso, che sta frequentando il terzo anno di scuola secondaria presso un college privato. A lui si aggiungono un ragazzo che sta per terminare l’Università, e una ragazza che frequenta il primo anno di Scienze della Formazione e che vorrebbe diventare insegnante. Un ragazzo ha invece da poco terminato il primo anno di scuola per elettricisti, mentre un altro inizierà a breve una scuola di arte e musica vicino alla capitale.

 

Alla scuola primaria e secondaria si è affiancata, nel 2019, la scuola dell’infanzia per bambine e bambini Masai dai 4 anni circa provenienti dal villaggio di Gunge, che dista 3 km dal Charity Village. Nelle aree circostanti, infatti, sorgono numerosi villaggi in cui vivono circa 800 bambini, per la maggior parte di etnia masai. Il nostro impegno è dunque quello di garantire l’accesso all’istruzione e il pranzo per tutti i bambini della pre-school, che dura generalmente 2 anni; può eventualmente durare anche di più, qualora i bambini cominciassero a frequentarla prima dei 5 anni, come talvolta accade. Questa è la fase più delicata, perché l’insegnamento dello swahili – la lingua ufficiale della Tanzania – permetterà ai bimbi di integrarsi nelle scuole statali.

La struttura, divisa in 2 classi, accoglie attualmente circa 70 bambini. Qui vengono insegnati swahili (lettura e scrittura), matematica (contare, somme, sottrazioni), nonché le nozioni base dell’inglese, su cui i bimbi vengono valutati a metà e a fine anno. I pasti per i bimbi vengono cucinati a turno dalle mamme e sono composti da porridge, mentre i bambini portano il latte da casa.

Un aspetto molto positivo, e un segnale di interesse verso l’istruzione dei bambini, è che ad aprile 2021 il nostro partner locale, nella figura di Br Valerian McHome, ha effettuato un incontro con 55 Masai, che si sono impegnati a contribuire economicamente per costruire una nuova aula: hanno già raccolto 300.000 TZS (circa 107 €) e metteranno a disposizione 10 acri per la scuola. Nel frattempo, hanno ripulito l’area e stanno iniziando a raccogliere pietre per la costruzione. L’aula sorgerà in una zona con anche spazi in ombra, dove i bambini potranno anche giocare. Nell’aula verranno accolte le due classi, ciascuna con la sua lavagna, mentre l’aula precedente verrà utilizzata per il culto.

“Br Valerian – ci racconta Maria – cena coi bambini 2-3 volte a settimana. Se qualche bambino si comporta male, gli viene chiesto il suo parere per responsabilizzarlo, per poi invitarlo a scusarsi con la persona offesa. I bambini si correggono anche tra di loro: vengono educati a sentire la casa come loro e a orientare i più piccoli. I più grandi contribuiscono inoltre alla gestione della casa. Per quanto riguarda il percorso futuro dei bambini, viene chiesto loro cosa vorrebbero fare da grandi, viene osservato il loro atteggiamento nei confronti degli altri, ad esempio per vedere se potrebbero essere dei bravi infermieri o insegnanti e, seguendo le loro inclinazioni e le loro passioni, vengono guidati nella scelta formativa.”

 

Ecco come continueremo a mantenere vivo il progetto e a prenderci cura dei bambini e dei ragazzi di Mabilioni e Gunge: dando loro nuove opportunità di vita attraverso l’istruzione, insieme.

 

 

Le nostre missioni all’estero: un ritorno tanto atteso

#adozioni a distanza, #educazione, #educazione estero

Maria Torelli, nostra program coordinator per i progetti di educazione all’estero, è da poco tornata da una missione in Kenya. Si tratta del primo viaggio in epoca di pandemia, con l’obiettivo di monitorare i nostri progetti educativi di Bomet e Nairobi. 

 

Bomet e Nairobi: dove ci troviamo?

Bomet è il capoluogo dell’omonima contea, nell’ovest del Paese; il nostro progetto è situato a Chebole, una località distante qualche chilometro. I bambini che frequentano la scuola provengono da un’area molto vasta: alcuni la raggiungono grazie a uno scuolabus, altri hanno la possibilità di essere accolti direttamente nella struttura (a partire dai 10 anni) o presso la Laura Children’s Home (dai 3 ai 9 anni). 

Nairobi, la capitale del Kenya, continua ad essere una città economicamente molto in crescita. Maria ci racconta che le strade sono piene di cartelloni pubblicitari che invitano ad avviarsi verso un modello di maggior consumo, e i centri commerciali si stanno moltiplicando a vista d’occhio. La condizione dello slum di Donholm non è però ottimale: non è stata ancora portata l’acqua, e le famiglie continuano ad avere scarse risorse sia per contribuire ai costi della scuola che per mangiare. Le case costruite in lamiera e cartoni sono ancora affiancate alla discarica e alle fognature all’aperto, e la commistione tra persone e animali rende l’ambiente ancor più malsano. 

 

A Bomet, tutti a scuola!

Attraverso il racconto di Maria, andiamo a visitare il nostro progetto di Bomet. La prima struttura che incontriamo è la Laura Children’s Home, dormitorio maschile e femminile presso la casa della famiglia Bet – fondatrice dell’organizzazione nostra partner locale – che accoglie attualmente 12 bambini dai 3 ai 9 anni.

 

 

Ci spostiamo poi alla Mosop School, scuola dell’infanzia e primaria, con dormitori maschili e femminili, che accoglie 368 bambini. Mosop era il padre di Mr Bet, e il significato del nome è ‘un posto dove si può stoccare molto cibo’, e quindi, per estensione, un luogo di abbondanza.

La struttura della scuola è in muratura, ma con tetto in lamiera: “quando piove forte – ci spiega Maria – con le mascherine e il rumore della pioggia è molto difficile capirsi, anche a un metro di distanza”. 

 

 

La Mosop School, avviata da Mr. Bet, non offre solo educazione e cibo ai bambini che la frequentano, ma fornisce loro un modello di famiglia e di educazione che va ben al di là delle conoscenze scolastiche. Lo scopo del progetto è assistere e accogliere i bambini orfani, abbandonati o vulnerabili della zona, e offrire loro l’istruzione che meritano.

Dalla nostra visita alla scuola abbiamo appreso come alcuni ex studenti abbiano conseguito ottimi risultati lavorativi: c’è Petty, che è diventata una dottoressa negli Stati Uniti; Jeremiah, un ragazzo albino masai divenuto direttore di un centro medico; Ronnie, che dopo aver lavorato come addetto alla produzione di latte per procurarsi fondi per curare la madre sieropositiva, è oggi un infermiere.

Alcuni ex studenti hanno creato un’associazione, la Laura Children’s Home Alumni, e si trovano tutti gli anni, a maggio, per incoraggiare gli alunni attuali e svolgere attività di volontariato: quest’anno, causa pandemia, vi è stata solo una cerimonia veloce. Con il passare del tempo, come ci racconta Maria, tutti loro potrebbero diventare risorse preziose per la scuola e la comunità: ad esempio come supporto di un insegnante nella realizzazione di attività pomeridiane, per passare del tempo con i bambini, incontrarli durante i giorni di visita o fare piccoli lavoretti. Questo, anche col passare degli anni, li farebbe sentire ancora parte della famiglia della Mosop. 

 

Allontanandoci da Bomet, visitiamo infine la scuola di Kuresoi: ci vogliono circa quattro ore di auto per raggiungerla, e la strada è in pessime condizioni. È una scuola dell’infanzia e primaria che accoglie oggi 173 bambini, di cui alcuni orfani; la struttura, come la maggior parte delle case della zona, è in legno e con il tetto di lamiera, segnale del contesto difficile in cui vivono i bambini.

 

 

 

A Nairobi, istruzione per i bambini degli slum

Proseguiamo con l’ultima tappa del nostro viaggio, recandoci al Centro Mother of Mercy nelle due strutture che sosteniamo: la scuola dell’infanzia e primaria di Kariobangi, che accoglie attualmente 190 studenti, e la scuola dell’infanzia e primaria di Donholm, con 161 studenti. 

Il Centro ha l’obiettivo principale di garantire ai bambini delle baraccopoli e dei quartieri poveri un’istruzione di qualità, poiché l’istruzione per loro è l’unico spiraglio verso il futuro. A scuola gli studenti ricevono anche un pasto, il materiale didattico, il vestiario e l’assistenza sanitaria. 

 

 

La scuola è sempre di più un punto di riferimento per i bambini, e un terreno di scambio e socializzazione tra grandi e piccoli. “Un giorno – ci racconta Maria – nello spiegare il funzionamento di alcuni giochi recuperati nel magazzino della nostra Fondazione, mi sono ritrovata a fare insieme ai bimbi un puzzle da 500 pezzi. È stato interessante vedere quanto si sono appassionati non solo i bambini, ma anche le direttrici e alcuni insegnanti, che hanno pensato di poter utilizzare il puzzle come strumento di team building all’interno delle classi.”

 

È stata questa una missione tanto attesa dopo quasi due anni di pandemia; uno sguardo dal campo non solo con lo scopo di visitare e monitorare un nostro progetto, ma anche per toccare con mano la quotidianità vissuta dai bambini e dai ragazzi che risiedono in un Paese così lontano, ma che grazie a questo racconto possiamo sentire un po’ più vicino.