Perché introdurre l’educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole

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Il Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, di cui Mission Bambini fa parte, raccomanda al Ministero dell’Istruzione e del Merito e al Ministero della Salute di adottare le “Linee di indirizzo nazionali per l’educazione all’affettività, alla sessualità e alla salute riproduttiva nelle scuole”, ultimate ma non ancora rese pubbliche.

Il Gruppo sostiene ormai da tempo il bisogno di introdurre, in modo trasversale e strutturato, l’educazione all’affettività e alla sessualità nei curricula scolastici fin dalla scuola dell’infanzia e ha sollecitato un intervento per approvare una legge che preveda questo inserimento.

Ma perché è necessario? E come farlo?

Il contesto

Il 94% degli adolescenti ritiene che la scuola dovrebbe formare anche nell’ambito della sessualità e dell’affettività. Questo è uno dei risultati dell’indagine condotta nell’ambito del progetto “Studio Nazionale Fertilità”, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità[1]. I giovani, quindi, sono chiaramente interessati a dei percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità, e vedono nella scuola il luogo giusto per farlo.

Solo 10 paesi europei su 25 prevedono percorsi di educazione affettiva sessuale curricolari, tra cui la Svezia, esempio di best practice, dove sono obbligatori in tutte le scuole dal 1955[2]. Tuttavia, ci sono delle differenze sostanziali tra i diversi stati nell’erogazione, nell’accessibilità e nell’organizzazione di questi percorsi. In alcuni casi si tratta di una materia a sé stante, ma nella maggior parte, invece, viene integrata nei programmi di altre materie, come biologia o educazione civica, e dipende largamente dalla formazione dell’insegnante e dai contenuti dell’insegnamento[3].

E in Italia? Il tema, sempre più presente nel dibattito pubblico, è stato parte di più proposte parlamentari che, invano, hanno cercato di regolamentarne l’introduzione nei percorsi scolastici[4]. Di conseguenza, l’educazione sessuale e affettiva, nonostante la buona volontà di alcuni presidi ed insegnanti, viene attivata in modo disomogeneo e poco strutturato, e in moltissime scuole italiane il tema è spesso ancora un tabù[5] o viene comunque affrontato focalizzandosi solo ed esclusivamente sugli aspetti scientifici e biologici.

Introdurre la Comprehensive Sexuality Education

Il Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, semplificato in Gruppo CRC, di cui Mission Bambini fa parte, ha pubblicato un documento dal titolo “Educazione all’affettività e alla sessualità: perché è importante introdurre la Comprehensive Sexuality Education nelle scuole italiane”[6]. Il concetto di Comprehensive Sexuality Education (CSE), presentato dalle Linee guida UNESCO[7], si riferisce a un percorso di educazione affettiva sessuale che non si limita solo alla conoscenza dell’apparato riproduttivo o delle malattie sessualmente trasmissibili, ma include, tramite un approccio olistico, l’educazione alle emozioni, alle relazioni, al rispetto e al consenso[8]. La dimensione affettiva e emozionale è infatti inevitabilmente presente a scuola e la costruzione di relazioni fa parte a tutti gli effetti del percorso scolastico. È necessario quindi, considerando che la consapevolezza emotiva e la capacità di riconoscere i sentimenti determinano una maggiore riuscita in tutti i campi, riconoscere l’importanza dello sviluppo dell’intelligenza emotiva e dell’educazione all’affettività sino dalla nascita e, tramite strumenti di educazione emotiva adeguati all’età, è fondamentale introdurre bambini e bambine al tema molto precocemente[9].

L’insegnamento degli aspetti cognitivi, emotivi, sociali e fisici della affettività e della sessualità in un luogo come la scuola dove è più possibile raggiungere, in modo formale, bambini, bambine e giovani, può avere un impatto positivo sulla loro salute[10]. La Comprehensive Sexuality Education è fortemente rilevante nel processo di costruzione delle identità di studenti e studentesse e nella creazione e sviluppo di relazioni, che sono parte inevitabile del percorso formativo scolastico sin dall’inizio, poiché la scuola è un contesto dove le dimensioni cognitiva ed affettivo-emotiva sono indubbiamente correlate[11] e si co-determinano. Sin dalla nascita, prima ancora che i bambini e le bambine inizino il percorso scolastico, è importante che i genitori, parte integrante del percorso educativo all’affettività e alla sessualità insieme alla scuola, siano consapevoli, grazie ad un’informazione adeguata, del loro ruolo nel far conoscere gli aspetti relazionali e biologici ai propri figli e figlie. Dai tre ai sei anni, invece, i temi possono essere già trattati nelle scuole dell’infanzia, contesti dove è possibile creare relazioni sane e collaborative e dove i bambini e le bambine imparano l’empatia e l’ascolto di sé e degli altri[12]. Educare all’affettività nella scuola primaria e secondaria significa aiutare i bambini e le bambine al riconoscimento e alla legittimazione delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, al consolidamento del concetto del rispetto, e a creare relazioni e ambienti rispettosi e solidali, dove le persone possano essere ascoltate e valorizzate[13]. Come specificato dal documento del Gruppo CRC, al centro della CSE c’è la trasmissione di una visione positiva della sessualità, connessa ai concetti di piacere, consenso, rispetto, condivisione di sentimenti ed emozioni, tramite un percorso che aiuti a rafforzare l’autodeterminazione e l’autonomia della persona.

L’introduzione dell’educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole ha anche lo scopo di contrastare informazioni inadeguate, o del tutto scorrette, a cui ragazzi e ragazze hanno sempre più facilmente accesso. L’introduzione al tema viene infatti di frequente gestita da fonti di informazione informali, come per esempio i genitori, che hanno un ruolo fondamentale e indiscutibile nell’avvicinare i bambini e le bambine all’argomento, ma che a volte peccano delle conoscenze necessarie, e viene sempre più veicolata tramite i social media, che offrono informazioni spesso distorte, non realistiche e degradanti, soprattutto per le donne, riproducendo stereotipi e pregiudizi[14]. Di conseguenza, un percorso di formazione pluriennale e strutturato sugli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali dell’affettività e della sessualità può quindi avere anche un effetto positivo su questioni sociali più ampie, come la parità di genere, i diritti umani e il benessere delle nuove generazioni[15].

In conclusione

Il Gruppo CRC e Mission Bambini sostengono quindi il bisogno di introdurre percorsi curricolari di questo tipo tramite un approccio trasversale e adatto ad ogni età. Viene ritenuta fondamentale l’introduzione dell’educazione all’affettività e alla sessualità a partire dalla scuola dell’infanzia, garantendola per tutta la durata dei percorsi scolastici in modo strutturato e accessibile anche agli studenti con disabilità[16]. I valori e i concetti della CSE sostenuti dal Gruppo CRC e da Mission Bambini sono quindi anche collegati a una visione della scuola come un luogo che non si fermi alle capacità cognitive, ma che possa accompagnare studenti e studentesse nei loro cambiamenti fisici ed emotivi, dando la possibilità di fare domande e ricevere risposte adeguate, facilitando inoltre l’identificazione e la prevenzione di situazioni di abuso e maltrattamento.  La scuola viene quindi immaginata come un contesto dove la libera espressione dei sentimenti e delle emozioni è incentivata e i bambini e le bambine sono supportati nella loro interezza durante tutto il percorso di crescita.


[1] https://www.epicentro.iss.it/materno/studio-nazionale-fertilita-fasce-popolazione

[2-3-14] OMS, Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, https://www.bzgawhocc.de/fileadmin/user_upload/Dokumente/BZgA_Standards_Italian.pdf

[4-5-6-8-9-10-11-12-13-15-16] Gruppo CRC, Educazione all’affettività e alla sessualità: perché è importante introdurre la Comprehensive Sexuality Education nelle scuole italiane, https://gruppocrc.net/wp-content/uploads/2024/05/Educazione-allaffettivita-e-alla-sessualita-Gruppo-CRC_27.05.2024.pdf

[7] UNESCO, International Technical Guidance on Sexuality education: An Evidence-Informed Approach. 2nd Revised Edition, Paris 2018, https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000260770

Verso una scuola dove si sta bene

#educazione, #educazione italia, #scuola, #spazio mission bambini

Vive con il papà e i nonni paterni in un quartiere della periferia di Milano. La mamma se ne è andata quando era molto piccolo. Linda, l’operatrice di Mission Bambini, ha notato che è sempre un po’ nervoso tutte le volte che arriva il momento dei compiti. Gli chiede che cosa ne pensa e lui risponde che crede di non saper fare nulla e che poi lei lo andrà a dire al papà, che lo metterà in punizione. Lei lo guarda e sorride. Gli dice che l’importante è provarci e che crede in lui.

Questa è la storia di Mirko, un bambino che come tanti a volte vive qualche difficoltà a scuola.

Questa, però, è anche la storia di Linda, un’operatrice che grazie allo Spazio Mission Bambini, un progetto della Fondazione, sostiene ogni giorno gli studenti e le studentesse con meno opportunità.

È già un mese che la scuola è ufficialmente finita in tutta Italia e i bambini e le bambine si sono ormai abituati a questa pausa estiva. Ora, però, è giunto il momento di fare un bilancio sull’anno scolastico appena concluso.

Andare a scuola in Italia

A scuola si va per imparare. E fin qui, non c’è dubbio. Ma per imparare cosa?

Sin da quando si è piccoli, la maggior parte della giornata la si passa tra i banchi di scuola, dove si impara a scrivere, a leggere, a contare. La scuola, però, non è soltanto un luogo formativo nel senso stretto del termine, ma è anche uno spazio di sviluppo sociale ed emotivo per tutti i bambini e le bambine che la vivono ogni giorno[1]. L’obiettivo della scuola, infatti, non è solo quello di trasferire conoscenze, ma anche di fornire agli studenti e alle studentesse gli strumenti essenziali alla propria crescita e di offrire un luogo dove bambini e bambine possano avere la possibilità di sviluppare le loro competenze cognitive, emotive e relazionali[2]. Imparare a confrontarsi con gli altri, sperimentare, conoscersi e capire il proprio valore mentre si cresce sono parte integrante del percorso formativo della scuola, che è un importante contesto dove promuovere il benessere psico-fisico degli studenti.

Tuttavia, il sistema scolastico italiano presenta da tempo numerose criticità che spesso non vengono affrontate correttamente.

L’inadeguatezza delle strutture scolastiche italiane è diventata recentemente parte del dibattito pubblico, con oltre la metà delle scuole priva delle certificazioni di agibilità statica e di prevenzione incendi. Solo nel periodo tra settembre 2022 e agosto 2023 sono stati 61 i casi di crollo registrati negli istituti italiani[3]. Il 47% degli edifici scolastici è stato costruito prima del 1976 e solo una scuola su 3 risulta accessibile per gli alunni con disabilità motoria[4].

Non è da meno il problema legato al precariato e all’elevata mobilità del corpo docente. Nell’anno scolastico 2022/2023, erano 234.576 i docenti con contratto a tempo determinato e a termine fino al 30 giugno, quasi 1 insegnante su 4[5]. Soprattutto in contesti di periferia, ma in generale in tutto il territorio italiano e nelle scuole di ogni ordine e grado, è comune, infatti, non rincontrare alcuni dei propri insegnanti l’anno successivo o, addirittura, vedere passare mesi prima che un docente riceva ufficialmente l’incarico.

Ma non sono solo problemi pratici. La scuola italiana, nonostante la presenza di molti docenti all’avanguardia, è ancora fortemente basata su un modello trasmissivo del sapere e su lezioni prettamente frontali.

In classi molto numerose, in strutture precarie e senza docenti è difficile portare avanti sia il mandato formativo che quello educativo della scuola. Il lavoro di insegnanti e dirigenti competenti e appassionati aiuta fortemente e fortunatamente a sopperire alle mancanze di un sistema a cui da tempo non vengono affidati fondi adeguati.

Non è uguale per tutti

Un altro fattore che incide e condiziona il percorso formativo e scolastico di studenti e studentesse e che spesso non è conosciuto dall’immaginario pubblico è il contesto di provenienza di bambini e bambine. Quando si parla di istruzione, viene spesso dato per scontato che a tutti e a tutte vengano date le stesse opportunità. In realtà, le condizioni di partenza hanno un peso enorme sui livelli di apprendimento di bambini e bambine: chi ha un background familiare più favorevole riesce ad avere risultati migliori[6]. Tramite i dati INVALSI, è possibile rilevare questa preoccupante relazione. Quando i voti dei ragazzi e delle ragazze al terzo anno di scuola secondaria di I grado, per esempio, vengono analizzati con l’indicatore statistico ESCS (Economic, Social and Cultural Status), che definisce lo status sociale, economico e culturale delle famiglie degli studenti che partecipano alle Prove INVALSI, si nota chiaramente che la percentuale di voti alti aumenta al crescere dell’ESCS[7].

Nel 2023 i minori in povertà assoluta erano 1,3 milioni – 1 su 7[8] – il valore più alto della serie storica dal 2014[9]. I bambini e le bambine in situazioni di povertà e in contesti difficili vivono spesso in condizioni non adatte allo studio e in abitazioni sovraffollate, faticano ad acquistare materiale scolastico e tecnologico e difficilmente partecipano ad attività sportive, ricreative o culturali[10]. Quindi, questi bambini e bambine non hanno le stesse opportunità dei loro coetanei che vivono in situazioni migliori e hanno una visione limitata delle loro possibilità. La povertà educativa, infatti, coincide con “la privazione da parte di bambini, bambine e adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”[11] ed è strettamente correlata alla povertà materiale.

-benessere scolastico

Una scuola dove si sta bene

Gli anni che si passano a scuola sono un periodo in cui i bambini e le bambine crescono e cambiano molto velocemente. Nel caso in cui l’esperienza scolastica sia negativa, potrebbero addirittura emergere sintomi di ansia o depressione[12]. Viene largamente riconosciuto, infatti, che le scuole sono un ambiente determinante nel promuovere la salute, il benessere psico-fisico e la crescita di bambini e bambine, e migliorare in questi campi significa anche maggior impegno e migliori risultati da parte di studenti e studentesse.[13]

Promuovere il benessere e la capacità di mettersi in relazione positiva con gli altri sono alcune delle capacità su cui la scuola deve porre attenzione, soprattutto alla luce dei rapidi cambiamenti sociali, economici e tecnologici che espongono bambini, bambine, ragazzi e ragazze a sfide e pressioni sempre più grandi e difficili da gestire in un’età in cui molte competenze sono ancora in fase di sviluppo. Nonostante la scuola sia uno dei contesti che di fatto più contribuisce a generare frustrazione, malessere e stress, è anche l’ambiente in cui è più possibile individuare e prevenire certi disagi[14].

L’interpretazione del concetto di benessere scolastico sta cambiando nel tempo. In passato ci si focalizzava principalmente sugli aspetti problematici e sui rischi, mentre la ricerca ora si concentra sugli aspetti positivi, dando molta più importanza agli studenti e alle studentesse[15]. Il benessere scolastico è una parte essenziale del benessere complessivo di bambini e bambine. Se a scuola si sta bene, la vita di ogni bambino e bambina viene positivamente influenzata. L’esperienza di una scuola dove ci si può conoscere e far conoscere, dove si è riconosciuti e dove la dimensione affettiva e relazionale è presente e incentivata è fondamentale nel percorso di ogni studente e studentessa. Una scuola dove si sta bene, dove andare è un piacere, dove si viene ascoltati e dove si può sperimentare è un luogo di crescita e non un luogo di passaggio[16]. Creare queste condizioni è necessario per avere un forte impatto positivo sulla vita dei bambini e delle bambine che, ogni giorno, si siedono tra i banchi di scuola.

-benessere scolastico

Il lavoro di Mission Bambini a scuola

La Fondazione Mission Bambini lavora nelle scuole dal 2016, concentrando il proprio intervento nelle periferie delle principali città italiane, aree in cui sistematicamente si riversano le principali sfide sociali e dove le disuguaglianze sono più marcate. Avviato in fase di sperimentazione nel 2020 e poi rimodulato in chiave multidisciplinare a partire dal 2023, il progetto di riferimento si chiama Spazio Mission Bambini e viene realizzato nelle periferie di Milano e Roma. L’obiettivo generale di Spazio Mission Bambini è proprio quello di promuovere il benessere della comunità scolastica e la crescita dei bambini e delle bambine, contrastando il fenomeno della povertà educativa. Un’equipe multiprofessionale, composta da pedagogisti, educatori, psicologi e coach, lavora in stretta collaborazione con i docenti per creare un ambiente scolastico sereno e accogliente, un luogo di apprendimento, ma anche di confronto, socializzazione e crescita dove gli studenti e le studentesse si sentano sicuri e lo sviluppo emotivo e sociale sia valorizzato insieme alla dimensione cognitiva dell’apprendimento.

L’obiettivo è promuovere il benessere dell’intera comunità scolastica attraverso un lavoro su più livelli:

  •  Laboratori multidisciplinari (arte, sport, teatro e robotica educativa)
  •  Laboratori motivazionali
  •  Attività di accompagnamento allo studio
  •  Attività di orientamento per genitori e alunni coinvolti nel processo di scelta formativa.

La scuola non è uguale per tutti e non sempre a scuola si sta bene, ma sicuramente l’ambiente scolastico è un contesto dove professionisti e professioniste possono individuare le difficoltà che bambini e bambine hanno in un periodo molto delicato della loro crescita. Il progetto Spazio Mission Bambini possiede uno sguardo preventivo e trasformativo: l’obiettivo è creare un ambiente sicuro, sano e rispettoso dove le difficoltà possano essere affrontate insieme e superate prima che diventino qualcosa di più grande.

Fonti:

[1] Indire, “Benessere a scuola” è il nuovo tema annuale eTwinning per il 2024

[2] Vita e Pensiero, Il benessere scolastico

[3] Cittadinanzattiva, XXI Rapporto Osservatorio civico sulla sicurezza a scuola, Focus Atenei.

[4] Report ISTAT, L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità | A.S. 2021-2022, dicembre 2022, citato in Cittadinanzattiva, XXI Rapporto Osservatorio civico sulla sicurezza a scuola, Focus Atenei.

[5] Portale Unico dei Dati della Scuola, Personale Docente a tempo determinato, 2022/2023; Tutto scuola, Precari della scuola: nella statale sono quasi 235mila. E il numero è destinato a salire.

[6] Invalsi Open, Cosa ci dice il contesto di provenienza sul percorso scolastico degli alunni?

[7] Invalsi Open, Cosa ci dice il contesto di provenienza sul percorso scolastico degli alunni?

[8] Save the Children, Povertà e aspirazioni: cosa vuol dire crescere in periferia?

[9] Istat, Resta stabile la povertà assoluta, la spesa media cresce ma meno dell’inflazione.

[10] Save the Children, Povertà e aspirazioni: cosa vuol dire crescere in periferia?

[11] Save the Children, Povertà e aspirazioni: cosa vuol dire crescere in periferia?

[12] How school systems can improve health and well-being. Topic brief: mental health. World Health Organization, the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, and Unicef.

[13]  Making every school a health-promoting school: global standards and indicators for health-promoting schools and systems. Geneva: World Health Organization and the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization; 2021.

[14] Unicef, Oltre l’ipercompetizione e l’omologazione.

[15] Evento “Il benessere scolastico: dimensioni e implicazioni”. L’evento vede la partecipazione della prof.ssa Emanuela Confalonieri dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

[16] Evento “Il benessere scolastico: dimensioni e implicazioni”. L’evento vede la partecipazione della prof.ssa Emanuela Confalonieri dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

A settembre, appuntamento con il Banco dei Desideri

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Banco dei Desideri 2024: il 6, 7 e 8 settembre partecipa insieme a noi alla sesta edizione!

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“Educativa digitale e corporea per una didattica innovativa”: il convegno dedicato a Stringhe

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Stringhe è il primo progetto in Italia a portare nelle scuole una metodologia didattica innovativa che integra educativa digitale e corporea; è promosso da Mission Bambini e selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. È un progetto nazionale realizzato in tre città – Milano, Napoli e Catania – con un lungo percorso alle spalle. È attivo da 4 anni, ma la sua genesi risale al 2018, anno in cui abbiamo iniziato a pensarlo.

Ne abbiamo parlato durante il convegno “Educativa digitale e corporea per una didattica innovativa” organizzato insieme ai nostri partner, che si è svolto il 9 maggio allo Stripes Digitus Lab c/o MIND, Milano Innovation District.

Ecco un video che racconta i tipi di attività svolte nelle classi:

Povertà educativa: il quadro del fenomeno nel nostro Paese

Povertà educativa” è un termine recente, introdotto per la prima volta  nel dibattito italiano da Save the Children. Come relazionato dal Prof. Ennio Ripamonti – Docente a contratto di ricerca-intervento di comunità all’Università Milano-Bicocca – durante il suo intervento al convegno, tale concetto fa riferimento a bambini e ragazzi che non solo si trovano  in una condizione di svantaggio economico e culturale, ma che sono  privati di esperienze educative significative (visite a musei, partecipazione a concerti musicali e spettacoli teatrali, pratiche sportive, lettura di libri…). Deprivazione che, col passare del tempo, diventa sempre più esistenziale, con tutte le conseguenze che ne derivano. 

Secondo Save the Children si parla di una “privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. 

La povertà educativa è strettamente legata alla povertà economica: provenire da quartieri fragili o da famiglie in condizioni di svantaggio materiale e socio-culturale intacca le esperienze educative dei bambini, fin dai primi anni di vita.

Il dato di cui dobbiamo tener conto è questo: in Italia la povertà assoluta è in crescita, e ciò si traduce in sempre più famiglie che non dispongono della possibilità di garantire ai propri figli una vita dignitosa. Questo fenomeno impatta sul 14% dei minori in Italia.

Bambini e ragazzi provenienti da famiglie fragili presentano una minor fiducia nel futuro. Per contro, smentiamo un luogo comune: la povertà assoluta non impatta sull’autostima: ragazzi e ragazze capiscono che il loro svantaggio li condizionerà nella vita, ma questo non intacca in modo così massiccio la propria autostima, al netto delle diversità di ognuno.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è che la povertà si trasmette da una generazione all’altra e questo vale , anche per quella educativa (la carenza di stimoli culturali, sociali ed esperienziali ostacola un pieno sviluppo cognitivo ed emotivo del minore, riducendo così la probabilità che da adulto riesca a sottrarsi da una condizione di disagio economico), ma può essere sufficiente un solo anno di esperienze educative intense per iniziare a recuperare lo svantaggio iniziale. Difficile però che la sola scuola sia sufficiente a compensare questo gap. “Siamo condizionati ma non determinati”, disse il noto pedagogista brasiliano Paulo Freire: è possibile – attraverso esperienze fatte da scuola e territorio insieme – offrire opportunità di crescita che riescano a contrastare la povertà educativa.

Il corpo e l’attività sportiva

È importante rendere il più fruibile possibile l’attività sportiva in tutti i contesti periferici dove la povertà educativa si manifesta con più forza, perché le attività del corpo producono un’immagine positiva di sé del bambino e della bambina – come ha spiegato al convegno Giovanni Ghidini, Coordinatore Educativo di Fondazione Laureus Italia. Quando corre, quando salta, quando fa una capriola, quando ha equilibrio… il bambino si sente autore di tutto questo e porta con sé, nella vita, questa sensazione che comunque vadano le cose “io sono un bimbo che riesce, che ce la fa”. Un certo tipo di attività sportiva deve dunque declinarsi in maniera educativa senza perdere le sue caratteristiche. 

È inoltre importante che un bambino possa sognare. Ecco che allora lo sport non è altro che questo: il fatto che tu, quando fai un’attività sportiva, hai un sogno, hai la possibilità di fare qualcosa di buono, di bello, hai un desiderio a lungo termine. 

Sognare è anche una questione di fascino ed è qui che il reale del corpo ha avuto un alleato: il digitale. Questa alleanza è stata possibile tramite l’incontro tra Fondazione Laureus e Cooperativa Stripes.

Il reale incontra il digitale

Il tema che viene portato avanti è quello dell’innovazione tecnologica e dell’approccio al digitale fin dalla prima infanzia. Ma come si portano questi strumenti tecnologici ai bambini? Ce lo spiega Serena Bignamini, Coordinatrice Stripes Digitus Lab della Cooperativa Stripes.

Occorre innanzitutto dire che esiste una correlazione con la povertà educativa: il tema dei sogni, delle aspettative, del pensare di poter fare qualcosa anche se in questo momento mi sembra impossibile. Portare gli strumenti digitali e dare la possibilità ai bambini di utilizzarli è legato allo sviluppo del pensiero critico, del pensiero divergente, del saper porsi domande.

L’utilizzo del digitale non deve dunque essere passivo: i bambini hanno quotidianamente a che fare con la tecnologia, pensiamo per esempio che anche nelle famiglie con disagio economico è presente uno smartphone. La necessità è quella di portare una visione dei device che sia più attiva, di un approccio al poter capire come funzionano e un domani essere noi stessi costruttori di quella realtà virtuale in cui siamo ormai tutti inglobati. Il collegamento tra corpo e digitale è venuto poi naturale: insieme ai partner del progetto, ci siamo resi conto di come non possa esistere l’uno senza l’altro. 

Come far convivere questi due temi?

La deprivazione motoria e la possibilità di sviluppare competenze digitali in un contesto di fragilità socio-economica  necessitano di uno stesso intervento formativo combinato, e al convegno ne ha parlato Manuel Gentile, Ricercatore e responsabile della sede di Palermo dell’Istituto per le Tecnologie Didattiche – CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche.

L’apprendimento sta nella relazione, e nella relazione il movimento è fondamentale. Il corpo diventa quindi uno strumento essenziale; è dunque possibile lavorare su un’idea comune di metodologia integrata. Abbiamo provato a trovare un ambito che facesse da contenitore, e l’abbiamo trovato nel pensiero computazionale, anche se un po’ diverso da quello che veniva e viene allenato nelle tante iniziative progettuali che si fanno nel contesto italiano. Con Stringhe lavoriamo a una nuova idea che ha nel corpo e nelle relazioni sociali una nuova dimensione di analisi – grazie al supporto del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per le tecnologie didattiche.

Struttura del progetto “Stringhe: piccoli numeri in movimento”

Il cuore e i macro temi fin qui incontrati si ritrovano in Stringhe, in cui sono stati messi a sistema. Come esposto da Irene Villa, Project Manager di Mission Bambini il progetto presenta  tre caratteristiche fondamentali: vuole contribuire al contrasto della povertà educativa, con una proposta innovativa ed efficace.

Mission Bambini ha l’intuizione di vedere l’innovazione nel connubio tra il corpo e il digitale seguendo  un percorso di ricerca proveniente dall’Europa. Questa intuizione è stata resa concreta chiamando esperti del settore, intessendo una rete di partner e costruendo insieme a loro il progetto “Stringhe: piccoli numeri in movimento”. Questa la nostra grande scommessa: parlare di una metodologia che, quando è stato scritto il progetto nel 2018, non esisteva in Italia ed è tuttora in costruzione.

progetto stringhe

Il progetto Stringhe ha due cuori: quello della ricerca e della sperimentazione, e un cuore che risponde al bisogno sociale del contrasto alla povertà educativa. 

Come entriamo nelle classi?

Il progetto, con il passare del tempo, si integra nella realtà educativa, didattica e quotidiana della scuola. L’equipe di Stringhe, per ogni scuola, è composta da un educatore di digitale, un educatore di motoria e un consulente pedagogico. Quest’ultima figura è molto importante perché deve far sì che il progetto offra le stesse opportunità a Milano, come a Napoli e a Catania, e che sia effettivamente rispondente al bisogno specifico della classe o del bambino con particolari fragilità (da qui, il tema dell’inclusione).

Il consulente pedagogico, insieme agli educatori e agli insegnanti, cuce su misura della classe l’attività laboratoriale, in modo che le competenze vengano meglio interiorizzate: per fare ciò serve rispettare i tempi delle classi e dei bambini.

Un altro aspetto importante è rappresentato dal trasferimento di competenze: il progetto diviene  sostenibile quando si trasferiscono con successo  le competenze metodologiche al corpo docenti. Solo così Stringhe può continuare a vivere anche dopo la fine del progetto, prevista per giugno 2025.

Per ultima, ma non per importanza…

Nella seconda parte del convegno si è svolta una tavola rotonda alla presenza di Stefania Bocconi, Ricercatrice all’Istituto per le Tecnologie Didattiche – CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche; Elisabetta Dodi, Pedagogista e formatrice Area Servizi all’infanzia del Comune di Milano; Fabio Fraticelli, Chief Operating Officer in TechSoup; Pier Cesare Rivoltella, Professore ordinario all’Università di Bologna; Angelo Lucio Rossi, Dirigente dell’IC Alda Merini di Milano; ha moderato la tavola rotonda Sabina Bellione, Direttore tecnico area progettazione del Consorzio Nazionale CGM.

Il confronto ha offerto spunti utili per il prosieguo del progetto, che terminerà a giugno 2025 e che lascerà in eredità la Metodologia Integrata Stringhe di cui abbiamo parlato sopra.


Partner nazionali coinvolti: Cooperativa Stripes, Fondazione Laureus, CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per le Tecnologie Didattiche, Palestra per la Mente.

A livello locale il progetto Stringhe è realizzato a Milano insieme a: Comune di Milano, IC “Cesare Cantù”, IC “Locatelli Quasimodo”, IC “Trilussa”, Fondazione Aquilone, Fondazione Maria Anna Sala. A Napoli insieme a: Comune di Napoli, 30esimo CD “G. Parini”, Associazione Celus. A Catania insieme a: Comune di Catania, IC “Dusmet-Doria”, Associazione Talità Kum.


Fonti:

Insieme a Mediobanca per garantire percorsi educativi di qualità

#aziende, #educazione, #educazione italia

Mission Bambini e il Gruppo Mediobanca consolidano la collaborazione avviata nel 2020, con l’obiettivo di garantire percorsi educativi di qualità ai bambini appartenenti ai contesti più fragili. In particolare, sostenendo il nostro progetto “Scintilla”, Mediobanca garantirà accesso gratuito al nido o alla scuola dell’infanzia per 15 bambini e bambine nelle città di Bari, Catania, Milano, Napoli e Roma. In aggiunta, grazie all’attività di volontariato aziendale promossa all’interno del Gruppo, verranno riqualificati gli spazi interni ed esterni delle strutture didattiche identificate.

Il progetto “Scintilla” è nato nel 2022 mettendo in rete cinque centri socioeducativi per la prima infanzia – le “Stelle Mission Bambini” – localizzati in contesti caratterizzati da scarsa offerta di servizi educativi. Grazie al progetto le famiglie più vulnerabili, impossibilitate ad accedere a strutture pubbliche o a sostenere il costo della retta in una struttura privata, beneficiano del servizio gratuitamente o con retta agevolata. Le Stelle, inoltre, supportano le famiglie, favorendo l’acquisizione o il potenziamento delle competenze genitoriali; realizzano attività extra-curriculari che promuovono la creatività, la crescita personale e le relazioni tra pari e con i genitori; formano i propri educatori su temi specifici legati all’infanzia; seguono linee pedagogiche comuni. L’obiettivo di questi servizi educativi, accessibili e inclusivi, è contribuire a realizzare il diritto all’educazione, al gioco, alla realizzazione personale dei bambini, aumentando la probabilità che da adulti si sottraggano alla condizione di disagio economico e sociale.

La riqualificazione attraverso attività di volontariato aziendale degli spazi ha l’obiettivo di creare luoghi accoglienti e luminosi, dove bambini e bambine possano giocare e svolgere le attività didattiche e i laboratori. Nello specifico, i dipendenti del Gruppo Mediobanca si occuperanno delle attività di tinteggiatura, manutenzione di aree verdi, creazione di orti e giardini didattici.

Goffredo Modena, Presidente di Mission Bambini, afferma: La nostra lunga esperienza ci ha insegnato che proprio i bambini che vivono in situazione di fragilità hanno maggior bisogno di opportunità educative di qualità, fin dai primissimi anni di vita. In questo modo possiamo contrastare efficacemente la povertà educativa: quell’insieme di fattori che impediscono ai bambini di esprimere le proprie potenzialità e realizzare le proprie aspettative. Ringrazio Mediobanca, che ha confermato la sua collaborazione sposando le finalità di questo nostro impegno, dopo aver sostenuto negli anni scorsi i nostri interventi per una scuola inclusiva, accogliente e attenta all’ambiente”.

“L’impegno di Mediobanca per l’inclusione sociale, in particolare per i giovani provenienti da aree svantaggiate, è una costante nel nostro operato. La rinnovata collaborazione con Mission Bambini è un ulteriore passo in questa direzione” commenta Giovanna Giusti del Giardino, Responsabile della Sostenibilità di Gruppo di Mediobanca. “Grazie al progetto ‘Scintilla’ contribuiamo a garantire alle famiglie più vulnerabili l’accesso ai servizi educativi, promuovendo la cultura della genitorialità e la crescita personale dei bambini. Tutto ciò è reso possibile anche dalla crescente partecipazione dei nostri dipendenti volontari che contribuiscono attivamente al successo di queste iniziative”.

La partnership con Original Marines: un futuro da costruire insieme

#aziende, #educazione, #educazione italia, #infanzia

I bambini rappresentano il futuro: scegliere di agire per loro significa contribuire oggi a costruire il futuro di domani. Per questo Original Marines, azienda leader nel settore dell’abbigliamento kidswear, promuove iniziative di valore in grado di sostenere i diritti dei più piccoli e fare concretamente la differenza.

L’iniziativa

Dall’1 al 10 giugno 2024, con una libera donazione all’interno di uno dei punti vendita Original Marines, sarà possibile sostenere i progetti educativi di Mission Bambini in Italia.

Grazie al contributo di ognuno potremo rendere felici e sani tanti bambini e ragazzi nelle scuole, attraverso attività di:

  •  promozione dello sviluppo psico-fisico;
  •  potenziamento e innovazione dell’offerta didattica;
  •  prevenzione dell’abbandono scolastico.

Realizzeremo le attività in scuole partner preventivamente selezionate, localizzate in contesti di forte povertà materiale ed educativa nelle città di Catania, Milano, Napoli e Roma.

La partnership

A partire dal mese di aprile, Original Marines ha scelto di essere al fianco di Mission Bambini e in particolare dei progetti educativi in Italia. L’impegno dell’azienda a favore della Fondazione si articolerà, nel corso dell’anno, in contributi e iniziative concrete che mettono a fattor comune donazioni economiche e azioni di volontariato d’impresa, attivando i dipendenti in attività come la riqualificazione degli edifici scolastici. Oltre all’impegno diretto dell’azienda, grazie all’ampia rete di negozi Original Marines su tutto il territorio italiano, anche i clienti avranno la possibilità di contribuire attivamente attraverso una libera donazione.

Goffredo Modena, Presidente di Mission Bambini, afferma: “Da oltre 20 anni il nostro impegno quotidiano è rivolto a bambine, bambini e famiglie che vivono nei contesti più difficili delle città italiane, dove povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda. Il nostro obiettivo è offrire ai più piccoli la possibilità di uscire dall’emarginazione sociale, garantendo loro l’accesso a percorsi di istruzione ed educazione di qualità. Un grazie di cuore va quindi a Original Marines che ha scelto di essere al nostro fianco per offrire un aiuto concreto alle famiglie più vulnerabili”.

Diventare papà oggi

#educazione, #educazione italia, #infanzia

Ogni libreria, anche la più piccola, è piena di libri che spiegano alle future mamme cosa aspettarsi da questa nuova fase della loro vita. Ma ai papà chi glielo spiega? È vero, di maternità si parla tanto – anche se non sempre in modo adeguato – mentre di paternità non si parla affatto.

Il contesto: desideri e realtà

Tra il 2013 e il 2022, la percentuale di uomini che ha usufruito del congedo di paternità si è più che triplicata[1], confermando un trend ben visibile nella nostra società: i papà vogliono essere presenti nella vita dei propri figli. La paternità, e la definizione attribuita a essa, è in continuo mutamento: anche le donne madri richiedono maggiore partecipazione ai propri partner, e i padri non si accontentano più di un ruolo marginale nell’educazione dei propri figli[2].

Dopo decenni, se non secoli, di una statica definizione di paternità necessariamente distante, forte e autorevole, i neopapà di oggi si sentono intrappolati tra ciò che la società ancora richiede e i loro bisogni e desideri. Da un lato lo stereotipo di genere che impone agli uomini di essere, sempre e costantemente, protettori e colonna portante della famiglia, instancabili lavoratori e “poliziotti cattivi” nell’educazione dei figli; dall’altro lato l’esigenza e la volontà, sempre più documentate, di contribuire al lavoro di cura e alla crescita emotiva dei figli[3].

Gli stereotipi e i ruoli di genere sono comunque ancora difficili da superare. La visione patriarcale, spesso in noi implicita e nascosta che, ad esempio, raffigura l’uomo come fonte di reddito e la donna come padrona di casa, è tuttora presente nella nostra società. Nonostante l’evidente aumento di partecipazione da parte dei padri del terzo millennio nella vita dei figli, il lavoro di cura resta ancora prevalentemente un compito delle madri che, anche se lavoratrici, vedono ricadere su di loro la maggior parte del lavoro non retribuito di assistenza[4].

Il congedo di paternità in Italia

Sono solo 10 in Italia i giorni di congedo di paternità obbligatori e retribuiti al 100%. La normativa italiana non si discosta molto da quella di tanti altri stati dell’Unione Europea, che garantiscono anche loro lo standard minimo di 10 giorni richiesto dalle direttive UE o poco più, ma è anche vero che sono diversi i paesi che garantiscono un periodo retribuito più elevato[5]. La Spagna, per esempio, concede ai padri 16 settimane di congedo[6], la Finlandia prevede invece 160 giorni di congedo per genitore[7], mentre la Svezia è stata il primo paese al mondo a sostituire – addirittura nel 1974 – il congedo di maternità con il congedo parentale, garantendo oggi 480 giorni di permesso da suddividere[8].

In Italia è sicuramente ancora evidente come siano le madri a mettere in pausa la loro carriera lavorativa e a dedicarsi al lavoro di cura. Estendere il congedo di paternità è quindi una manovra necessaria per permettere una distribuzione più equa dei compiti – diminuendo di conseguenza la percentuale di madri che si sentono costrette a dover lasciare il lavoro – e per garantire una presenza più attiva della figura paterna sin dall’inizio. Immaginare un congedo parentale equo è anche fondamentale per avviare un cambiamento culturale diffuso, che sia in grado di scardinare gli stereotipi di genere e la definizione prettamente patriarcale di famiglia.

Ognuno è padre a modo suo

Quando si parla di paternità, ma anche di maternità e di educazione e crescita dei figli, c’è una certezza: non esiste una ricetta perfetta. Ognuno è padre a modo suo ed è necessario allontanarsi dal rischio di ricadere in un’altra definizione stereotipata, anche se diversa da quella patriarcale che si sta cercando di superare. Il proprio bambino o bambina non arriva al mondo con una guida, anzi, la sua nascita è una rivoluzione e un cambiamento radicale che porta con sé emozioni e paure. Permettere a se stessi e autorizzarsi, come padri, a essere e a esercitare un maschile differente rispetto a quello che ci portiamo dietro culturalmente è, di per sé, un punto di partenza fondamentale per immaginare una paternità diversa rispetto a quella che ora sta stretta a molti neopapà.

È importante immaginare l’arrivo di un figlio anche come la nascita di una triade composta da diverse persone, i cui ruoli sono non solo tutti importanti, ma anche necessari. La figura paterna in questo triangolo non è una figura secondaria, ma invece ha un compito fondamentale che spesso viene tralasciato a livello sociale: quello di aiutare madre e figlio o figlia ad avviarsi ognuno verso il proprio spazio, fungendo da mediatore verso l’esterno. Il papà ha l’importante ruolo di essere, in primo luogo, la protezione al cambiamento, facilitando poi in seguito la donna a riprendere il proprio spazio personale e la propria autonomia, e il bimbo o la bimba ad allontanarsi dal legame simbiotico che inevitabilmente si crea con la mamma.

Terzo tempo: che tipo di papà vuoi diventare?

In questo momento storico di forte cambiamento, ciò che è necessario è quindi uno spazio sicuro e non giudicante per i neopapà, dove è possibile essere vulnerabili e immaginare – grazie anche all’aiuto di professionisti – la propria definizione di paternità e il proprio modo, unico e irripetibile, di essere padri. Mission Bambini e la cooperativa La Grande Casa di Sesto San Giovanni (MI) cercano di fare proprio questo con il servizio Terzo tempo: un progetto diviso in tre momenti – papà del passato, del presente e del futuro – che nasce proprio con l’idea di accompagnare e sostenere gli uomini nel loro diventare padri, aiutandoli a decostruire la vecchia definizione di paternità per costruire la loro, e prendendosi cura in particolare dell’aspetto emotivo, affettivo e relazionale del nascere come genitori.

Il nome del servizio – sostenuto dalla Fondazione nell’ambito del progetto Scintilla – nasce da una tradizione consolidata nel mondo del rugby: il terzo tempo è il momento in cui le due squadre e le due tifoserie, a fine partita, festeggiano insieme e mettono da parte le rivalità sportive. Il nome scelto invita implicitamente proprio a “mettere da parte” stereotipi e prese di posizioni statiche per abitare uno spazio più malleabile di confronto e possibilità.

Terzo tempo è un luogo dove poter affrontare insieme le problematiche dell’attuale società e la mancata corrispondenza tra i bisogni e i desideri dei padri del terzo millennio e la realtà che li circonda. Non si tratta però di incontri formativi, ma piuttosto di momenti che hanno lo scopo di far emergere le proprie idee di paternità e come queste idee possano essere sia messe in discussione sia esercitate. L’obiettivo di Terzo tempo non è fornire la ricetta per diventare il papà perfetto, ma quello di pensare, sperimentare e capire insieme che tipo di padre si vuole diventare.


[1] Dati INPS, citati da Save the Children, “Festa del Papà: aumenta l’utilizzo dei congedi di paternità”.

[2] Save the Children, Le equilibriste: la maternità in Italia – 2023.

[3] Save the Children, Le equilibriste: la maternità in Italia – 2023.

[4] Save the Children, Le equilibriste: la maternità in Italia – 2023.

[5] Quotidiano Nazionale, Congedo di paternità, l’Italia a confronto con i Paesi Ue.

[6] Save the Children, Le equilibriste: la maternità in Italia – 2023.

[7] https://www.azets.fi/en/blog/family-leave-model-in-finland/

[8] Il Fatto Quotidiano, Congedo di paternità, in Italia solo 10 giorni e in Spagna 16 settimane: come funziona in Ue e perchè se “non trasferibile” fa la differenza.

A maggio, allacciamo le Stringhe!

#educazione, #educazione italia, #progetto Stringhe, #Stringhe

Si è tenuto giovedì 9 maggio, dalle ore 15:30 alle ore 18:30, allo Stripes Digitus Lab di Milano (all’interno dell’ex sito Expo 2015) il Convegno “Educativa digitale e corporea per una didattica innovativa” organizzato da Mission Bambini e dai partner di “Stringhe: piccoli numeri in movimento”, per raccontare 4 anni di attività del progetto.

Guarda la registrazione dell’evento »

Il Convegno prende il via con l’intervento di Ennio Ripamonti, docente dell’Università Milano-Bicocca, “Povertà educativa: un quadro del fenomeno nel nostro Paese”. Segue la presentazione del progetto “Stringhe” con gli interventi dei rappresentanti di Mission Bambini, Cooperativa Stripes, Fondazione Laureus e CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per le Tecnologie Didattiche. Sarà inoltre presente un insegnante dell’IC Cantù di Milano, che porterà la propria testimonianza sullo svolgimento delle attività di progetto in aula insieme ai bambini.

Infine, una tavola rotonda “Stringhe come nuovo modo di fare didattica: prospettive di sviluppo” sull’introduzione nelle scuole della nuova metodologia didattica.

Qualcosa di più sul progetto

Realizzato principalmente all’interno delle scuole e in collaborazione con il sistema scolastico, il progetto “Stringhe” prevede l’introduzione di attività per bambini che si basano sull’uso combinato del coding e della robotica educativa da un lato, con la psicomotricità e l’attività sportiva dall’altro. L’obiettivo principale è quello di contrastare la povertà educativa nei contesti di intervento attraverso la sperimentazione e la messa a punto della Metodologia Integrata Stringhe (MIS): una nuova metodologia didattica in grado di orchestrare innovative pratiche educative nel contesto delle attività curriculari delle differenti discipline di studio. L’obiettivo primario della MIS è potenziare l’abilità di pensiero computazionale. Il progetto, avviato nell’AS 2020/2021, è attivo in 10 scuole dell’infanzia e primarie di Milano, Napoli e Catania.

Il progetto Stringhe è stato selezionato dall’impresa sociale “Con i Bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile ed è realizzato a livello nazionale insieme a: CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per le Tecnologie Didattiche, Cooperativa Stripes e Palestra per la Mente, Fondazione Laureus Italia, Avanzi. Si tratta del primo progetto in Italia a portare nelle scuole una metodologia integrata che unisce educativa digitale e corporea. Il convegno sarà anche occasione di confronto sul tema tra docenti e ricercatori, dirigenti scolastici, istituzioni, insegnanti ed educatori.


A livello locale il progetto Stringhe è realizzato a Milano insieme a: Comune di Milano, IC “Cesare Cantù”, IC “Locatelli Quasimodo”, IC “Trilussa”, Fondazione Aquilone, Fondazione Maria Anna Sala; a Napoli insieme a: Comune di Napoli, 30esimo CD “G. Parini”, Associazione Celus; a Catania insieme a: Comune di Catania, IC “Dusmet-Doria”, Associazione Talità Kum.

Il teatro: su il sipario dell’apprendimento

#educazione, #educazione italia, #infanzia, #scintilla

Il teatro: un luogo in cui è possibile giocare, fare esperienza della propria interiorità e della realtà esterna. Un luogo della scoperta e delle possibilità.

Approfondiamo l’arte di fare teatro con i più piccoli, come accade a Napoli al Centro Pizzicalaluna.

La funzione educativa del teatro

Nel processo di crescita dell’infanzia ci sono alcune condizioni che favoriscono gli apprendimenti complessi come, per esempio lo sviluppo della capacità immaginativa: è la capacità di usare conoscenze acquisite in situazioni precise per vivere altre situazioni, per elaborare altri concetti, per entrare in altri contesti di conoscenza, per diventare capaci di

realizzazioni più complesse. L’immaginazione porta, infatti, a esplorare molteplici possibilità e a scoprire nuovi percorsi. La finzione che richiede il teatro porta a imparare a immaginare. Se il teatro è visto come un ventaglio di opportunità offerte al bambino per la sua crescita, lo spettacolo può essere vissuto da tutti (bambini, genitori, insegnanti, educatori) come un momento del processo di conoscenza e di espressione di sé.(1)

Il gioco ha anch’esso un ruolo fondamentale: è un metodo naturale di apprendimento, fin dall’età prescolare. Attraverso il gioco i bambini sono in grado di conoscere meglio il proprio corpo, le proprie emozioni e i propri pensieri per dare spazio alla creatività.

Dall’unione di educazione e teatro può nascere qualcosa di magico. L’arte drammatica è una delle attività artistiche che meglio può contribuire allo sviluppo del bambino: per questo motivo è bene che trovi un suo posto nei programmi educativi, così come accade a Pizzicalaluna.

Nunzia Schiano, attrice di tv e teatro, dialoga con Salvatore Amabile, educatore a Pizzicalaluna, Stella Mission Bambini di Napoli.

Il teatro a Pizzicalaluna, una Stella Mission Bambini

Le Stelle Mission Bambini – presenti a Milano, Bari, Napoli e Catania all’interno del progetto Scintilla – garantiscono il diritto alla vita e allo sviluppo ai bimbi con maggiori difficoltà di accesso ai servizi, assicurandosi di porre sempre il bambino al centro.

Oggi andiamo a Napoli, nella Stella Mission Bambini al Centro Infanzia Pizzicalaluna, dove si tengono attività relative al teatro e all’espressione di sé; per la precisione, si tratta di laboratori comunicativo-espressivo a scopo inclusivo.

Il concetto di inclusione deriva dal fatto che nella “finzione” teatrale – attraverso l’immaginazione – puoi essere tutto quello che vuoi; così si supera qualsiasi tipo di barriera (disabilità, lingue differenti, ritardi e fragilità). I bambini piccoli non possono imparare una parte a memoria, il loro è tutto un lavoro di immaginazione e sperimentazione, di scoperta di se stessi e dell’altro. 

L’immaginazione porta, infatti, a esplorare molteplici possibilità e a scoprire nuovi percorsi; la finzione che richiede il teatro porta a imparare a immaginare.(1)

Salvatore Amabile, educatore a Pizzicalaluna, ci spiega: “Il nostro pensiero non si è fermato solo all’inclusione rispetto al far parte di un gruppo, ma si estende alla forma di accudimento che ognuno deve avere nei confronti dei tanti che faranno parte del gruppo stesso, mettendo in luce – come punto di forza – la diversità stessa come unicità di ognuno di noi. Questo rende quel tale gruppo unico, perché ha una propria forma data dalla bellezza che si ottiene nel farne parte così come si è… Quasi come se fosse un capovolgimento dei ruoli teatrali che per gioco si affrontano”

Il teatro in questo caso diviene lo strumento sociale attraverso cui si può entrare sia nei ruoli, sia nelle diversità che ci circondano per potersi interfacciare con esse; nel momento in cui il gioco finisce qualcosa di unico del personaggio interpretato resta con noi. Il fare insieme favorisce e arricchisce la socializzazione dando valore alla diversità.

Bambine e bambini di Pizzicalaluna durante uno spettacolo teatrale.

Qualche dettaglio sul laboratorio teatrale

Il laboratorio teatrale coinvolge tutti (educatori, esperti di attività teatrali, genitori e bambini) e quella che si crea è una vera e propria comunità.

In totale, 52 bambini nella fascia 0-6 anni sono stati coinvolti – insieme ai loro genitori, nella realizzazione dei costumi e i più piccoli (32 in tutto) anche nelle attività di laboratorio teatrale.

Tutto è stato coordinato da 2 esperti esterni e supportato da 5 educatori di riferimento e da 1 volontaria. A breve, il Centro replicherà tale esperienza per le attività di chiusura dell’anno scolastico a giugno perché, come dicevamo sopra, lo spettacolo viene vissuto da grandi e piccoli come un momento di conoscenza e di espressione di sé.

Chiudiamo con una citazione del grande attore teatrale Gigi Proietti: “Benvenuti a teatro, dove tutto è finto ma niente è falso!”.


Fonte:
(1)Gaetano Oliva – Facoltà di Scienze della Formazione. Dipartimento di Italianistica e Comparatistica, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, “La funzione educativa del teatro”

Crediti video:
Riprese: Chiara Ercolani e Victor Deleo; montaggio: Chiara Ercolani

Location:
Teatro Stabile Galleria Toledo di Napoli

Nuova edizione di “AllenaMenti per il Futuro”

#educazione, #educazione italia, #NEET

Torna da lunedì 8 aprile il corso AllenaMenti per il Futuro, in collaborazione con il servizio Informagiovani del Comune di Milano: se sei un ragazzo o una ragazza che non studia e non lavora, scopri di che cosa si tratta e comunicaci il tuo interesse!

Il corso: scopri i tuoi talenti e trova la tua strada per la realizzazione personale

AllenaMenti per il Futuro è un corso gratuito promosso dalla nostra Fondazione e indirizzato a ragazzi e ragazze, di età compresa tra i 17 e i 30 anni, che non studiano e non lavorano.

Se sei uno di loro partecipa al corso, e potremo accompagnarti a capire quali sono i tuoi talenti, le tue competenze e qual è il modo migliore per metterli in campo nella costruzione del tuo percorso di crescita.

Allenamenti per il Futuro è composto da un percorso formativo di gruppo suddiviso in 6 incontri, che alternano momenti in presenza e online. È inoltre previsto un percorso di supporto individuale – ad adesione volontaria – gestito da uno psicologo.

Gli incontri in presenza si svolgeranno presso la Sala Addestramento di Fondazione Mission Bambini in via Ronchi 17 – Milano.

Sfoglia la locandina del corso » 

I requisiti: che cosa ti serve per iscriverti

Per partecipare ad AllenaMenti per il Futuro non ti serve nulla, devi solo confermare di:

  •  avere un’età compresa tra i 17 e i 30 anni;
  •  avere la residenza a Milano o zone limitrofe;
  •  non essere inserito in un percorso di studio o lavorativo.

Vuoi iscriverti o ricevere maggiori informazioni?

L’edizione di Allenamenti per il Futuro di aprile 2024 sta per partire. Per ricevere maggiori informazioni puoi contattare:


Prima dell’iscrizione verrà fissato un colloquio conoscitivo con un referente dell’Informagiovani, per valutare insieme la motivazione e l’interesse dei potenziali partecipanti.

Scadenza iscrizioni: 24 marzo 2024