Le famiglie alla prova della pandemia: esperienze, problemi e possibili risposte

#covid-19, #educazione italia

Nella quarta e ultima puntata del ciclo di eventi live “Le nuove sfide educative” abbiamo parlato dell’impatto della pandemia sulle famiglie e di quali politiche si potrebbero adottare per supportarne le capacità educative.

Il quarto appuntamento con le nuove sfide educative è andato live su Facebook martedì 20 ottobre, alle 18.00. Leggi la sintesi della puntata »

 

 

 

I contenuti che seguono sono una sintesi di quanto emerso dalla discussione con: Chiara Saraceno, Honorary Fellow, Collegio Carlo Alberto di Torino, co-coordinatrice Alleanza per l’Infanzia; Alfredo Ferrante, Dirigente coordinatore del servizio “Promozione dei servizi per la famiglia, relazioni internazionali e comunitarie” del Dipartimento Politiche della Famiglia – Presidenza del Consiglio dei Ministri; Emma Ursich, Segretario generale Fondazione The Human Safety Net di Generali; Jolanda Restano, Co-founder FattoreMamma e Filastrocche.it.
Il live talk, moderato da Fabio Colombo di Le Nius, ha incluso anche due racconti dal campo, introdotti da Alberto Barenghi, Responsabile Ufficio Progetti Mission Bambini: protagoniste Flavia Bernardi, Pedagogista Cooperativa La Grande Casa, Sesto San Giovanni (MI), e Simona Lionetto, Sociologa e counselor professionista Cooperativa Solidee (NA).

 

Le famiglie durante il lockdown

A causa dello sconvolgimento della scuola e delle altre attività educative dovuto alla pandemia, le famiglie si sono ritrovate sovraccariche di doveri e responsabilitàsenza tuttavia poter sostituire la scuola né negli insegnamenti formali né nella dimensione sociale, che è tale proprio perché esterna alla famiglia. Venendo a mancare questo aspetto, che permette ai ragazzi di imparare a muoversi in un mondo sconosciuto, uno degli impatti negativi del lockdown è stato quello di rafforzare la dipendenza di bambini e adolescenti dalla famiglia.

Dall’altro lato, i genitori non sono stati accompagnati in maniera adeguata in questa situazione del tutto inedita. Sono molte le famiglie che si sono sentite sole e isolate durante il lockdown. Questa condizione le ha spinte a cercare di unirsi e, con idee originali, a costruire occasioni di condivisione grazie anche al digitale, dimostrando una forte resilienza.
Una survey condotta da FattoreMamma durante il lockdown ha evidenziato una netta spaccatura tra le mamme che vivevano il lockdown e il prossimo futuro con estrema preoccupazione (il 50%) e quelle che invece mostravano più fiducia, vivendo la situazione giorno per giorno (l’altro 50%).

Le aziende hanno spesso messo a disposizione strumenti per aiutare le famiglie nel loro approccio con il digitale e con la didattica a distanza. Anche il Dipartimento per le politiche della famiglia, struttura interna alla Presidenza del Consiglio, ha offerto attività online di supporto ai genitori, come ad esempio il progetto #CiStoDentro, nuova sezione del sito del Dipartimento dedicata ad attività, consigli, interviste a esperti.

Un ruolo di primo piano nell’accompagnare i genitori è stato assunto dagli enti del Terzo Settore, che hanno organizzato per i genitori percorsi di formazione al digitale e hanno reso disponibili device e strumenti. La nostra stessa Fondazione ha donato tablet e connessione internet a oltre 600 studenti di famiglie fragili, partendo con questa attività già a marzo, anche grazie al sostegno di Fondazione The Human Safety Net di Generali. Durante il lockdown è nata anche la piattaforma Bambini Patapum, che ha offerto ai genitori preziosi consigli e un’ampia gamma di proposte per laboratori e attività da svolgere in casa con i bambini da 0 a 6 anni.

 

Le disuguaglianze tra le famiglie e dentro le famiglie

Come ormai sappiamo, la pandemia ha acuito le disuguaglianze tra le famiglie e dentro le famiglie. I nuclei che più avrebbero avuto bisogno di sostegno ne sono spesso rimasti privi. Non solo per la mancanza di strumenti digitali (tablet, computer, connessione internet), ma anche per il ridotto spazio disponibile: il 40% dei minorenni in Italia vive infatti in condizioni di sovraffollamento.

Le situazioni più difficili da gestire sono state quelle di maggiore fragilità, come le famiglie con ragazzi disabili, che hanno sofferto anche della chiusura dei servizi educativi loro dedicati e che, per questo motivo, oggi dovrebbero essere gli ultimi a rinunciare alla didattica in presenza.

Oltre ad aumentare le disuguaglianze tra famiglie, la pandemia ha contribuito ad aumentare anche le disuguaglianze interne, a discapito delle donne. Durante e dopo il lockdown, a sopportare il lavoro di cura e responsabilità familiare sono state soprattutto le madri, nonostante anche i padri abbiano incrementato il loro contributo.

Inoltre, a differenza della crisi del 2008, in cui la disoccupazione ha colpito settori caratterizzati da manodopera maschile (ad esempio il manifatturiero), oggi sono in crisi soprattutto il commercio, il turismo e il terziario, ambiti di tipica occupazione femminile. Il tasso di occupazione delle donne, già molto basso in Italia rispetto alla media europea, rischia di ridursi ulteriormente, in particolare tra le persone con minore qualifica.

Già nel periodo pre-pandemia, il 20-25% delle donne italiane ogni anno lasciava il lavoro per motivi familiari. Secondo i dati dell’ispettorato del lavoro, tre donne su quattro tra quelle che escono volontariamente dal mercato del lavoro lo fanno per ragioni legate alla gestione dei figli. Si teme che questi dati peggioreranno ulteriormente per effetto della pandemia.

La mancanza di un supporto da parte di nonni e babysitter e la crisi attuale che sta colpendo in maniera particolare l’occupazione femminile hanno quindi peggiorato la condizione delle donne e rischiano di aggravare ulteriormente la disparità di genere.

 

Politiche a sostegno delle famiglie

Durante il lockdown sono state varate misure straordinarie ed emergenziali per far fronte alla situazione, come il congedo straordinario e il bonus babysitting. Tuttavia, la pandemia ha contribuito a rendere evidente l’esigenza di una politica della famiglia più strutturale, che prenda in considerazione diversi aspetti e problematiche.

Con questo obiettivo a giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge proposto dalla Ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, e dalla Ministra del lavoro e delle politiche sociali, Nunzia Catalfo, recante “Deleghe al governo per l’adozione dell’assegno universale e l’introduzione di misure a sostegno della famiglia” (anche detto Family Act): un disegno organico di misure pensate per le famiglie con figli.

Il Family Act mira a costruire un quadro normativo organico che comprenda al suo interno diversi intenti: sostegno alla genitorialità e alla funzione sociale ed educativa della famigliacontrasto alla denatalitàsupporto alla conciliazione tra tempi di lavoro e tempi domestici, soprattutto per le donne.

L’attività parlamentare è ora concentrata sull’assegno unico universale, che dovrebbe consistere in una sintesi di varie provvidenze di tipo economico, con l’obiettivo di ricondurre a un unico assegno tutti i bonus per i ragazzi e le famiglie.

 

Patti educativi e ruolo del terzo settore

A fronte di questi interventi, che comunque entreranno solo gradualmente in vigore esercitando i loro effetti nel medio-lungo periodo, è necessario che diversi attori si prendano carico del sostegno alle famiglie.

Tra questi certamente le scuole che, pur con tutte le buone intenzioni e le dovute eccezioni, spesso faticano ad assolvere a questo compito, ancor più in tempo di pandemia.
I cosiddetti Patti Educativi di corresponsabilità, che dovrebbero appunto servire a coinvolgere i genitori nella condivisione di intenti educativi e pedagogici, sono spesso sottoscritti senza una vera partecipazione, come un fardello burocratico a cui adempiere.
Questa può invece essere l’occasione per dare nuovo valore a questi patti, coinvolgendo davvero le famiglie, impegnandosi per capire insieme a loro cosa sono, a cosa servono, e quali sono gli impegni della scuola e quali quelli della famiglia, il tutto a beneficio di bambini e ragazzi.

Altro soggetto determinante in questa fase può essere il terzo settore. Spesso sono proprio gli enti di terzo settore, che gestiscono diversi servizi per l’infanzia e per bambini e ragazzi, ad avere un contatto più stretto con le famiglie e ad avere tra i loro obiettivi quello di un intervento che le coinvolga.
Vanno in questa direzione le testimonianze portate da Flavia Bernardi della Cooperativa La Grande Casa di Sesto San Giovanni (MI) e da Simona Lionetto della Cooperativa Solidee di Napoli, entrambe partner di Mission Bambini all’interno del progetto “Ora di Futuro” promosso da Generali Italia e The Human Safety Net.

Più in generale, tutti i servizi educativi della nostra Fondazione, pur rivolti in primis a bambini e ragazzi, prevedono sempre più il coinvolgimento anche delle famiglie. Per contrastare la povertà educativa che caratterizza molti contesti del nostro Paese, è infatti indispensabile favorire il potenziamento delle competenze genitoriali e accompagnare i genitori nella sfida educativa. Ecco allora che nell’ambito dei nostri interventi, come ad esempio nel progetto “Servizi 0-6: passaporto per il futuro” finanziato da Con i bambini, ai genitori vengono proposti momenti informali di incontro e scambio di esperienze, laboratori educativi e anche veri e propri percorsi di accompagnamento nei casi di maggiore fragilità.

 

Famiglie al tempo della pandemia

Con la pandemia le famiglie hanno dovuto sviluppare un rapporto completamente nuovo con il tempo.
Nelle varie fasi di questo 2020 si sono trovate a gestire tre diversi periodi caratterizzati da una gestione del tempo diversa.

Nel primo periodo di lockdown hanno affrontato un tempo sospeso, una grande quantità di ore da passare insieme in uno spazio limitato, spesso senza avere gli strumenti per poterlo fare in maniera costruttiva ed educativa per i ragazzi.

La seconda fase di giugno è stata caratterizzata da una volontà di recuperare il proprio tempo lavorativo, individuale e sociale. L’apertura dei campi estivi ha consentito un po’ di respiro per genitori e bambini, che a settembre sono invece piombati nel tempo della rassegnazione. Le continue e diverse decisioni politiche, l’incapacità di prevedere la situazione e l’incertezza in cui continuiamo a vivere fa sì che le famiglie si siano arrese all’impotenza di fronte al loro tempo.

Ora il rischio di questa rassegnazione è che vada a nuocere ai meccanismi educativi e familiari su cui si basa lo sviluppo dei ragazzi. Oggi è fondamentale che le famiglie vengano supportate dalla politica, dal terzo settore, dalle aziende e che il loro ruolo educativo non venga sottovalutato, ma anzi sostenuto con una particolare attenzione alle situazioni di maggiore fragilità.

Insieme abbiamo aiutato oltre 2.000 studenti in difficoltà

#educazione italia, #eventi

Nel fine settimana del 19 e 20 settembre siamo tornati nelle librerie laFeltrinelli con la II edizione del Banco dei Desideri. E ora siamo pronti a raccontarti com’è andata.

 

Il risultato: un #bancodeidesideri pieno di circa 10.000 articoli per la scuola

Anche quest’anno, in 49 librerie laFeltrinelli, è stato possibile acquistare materiale scolastico e, insieme, libri, giochi educativi e vari prodotti di cartoleria da regalare agli studenti più fragili.
E così, al termine della nostra iniziativa, siamo riusciti a raccogliere circa 10.000 articoli per la scuola, il gioco e la lettura, che abbiamo consegnato a 7 scuole del territorio e a oltre 2.000 bambini e bambine, dai 3 ai 14 anni, provenienti da famiglie in condizioni di povertà economica e disagio sociale.

 

Il nostro grazie: un #bancodeidesideri è anche pieno di partner, volontari, donatori

Grazie a laFeltrinelli, per aver sostenuto l’iniziativa mettendo a disposizione la sua catena commerciale, coprendo i costi di produzione dei materiali promozionali distribuiti all’interno dei punti vendita e contribuendo anche con una donazione.

Grazie ai volontari, che sono stati instancabilmente presenti nelle librerie laFeltrinelli nel fine settimana del 19 e 20 settembre e che sono stati il volto e il cuore dell’iniziativa.

Grazie a tutti quanti hanno partecipato regalando un libro, una penna, un quaderno.

Insieme abbiamo permesso agli studenti in difficoltà di tornare a scuola come i compagni: con tutto il necessario per studiare, giocare, crescere.

 

Credit foto: Roberto Morelli.

#RidisegniamoLaScuola con Jacaranda: l’istruzione come nutrimento per la crescita personale

#educazione italia, #volontariato

Tre ragazze con attitudini e passioni diverse, ma unite da una grande amicizia e da un’idea, divenuta realtà durante il lockdown: ascoltare i desideri delle persone, trasformarli in creazioni artistiche e allo stesso tempo fare del bene.
Ecco come con il progetto Jacaranda Charity Valentina, Cristina e Barbara hanno iniziato a ridisegnare la scuola insieme a noi.

 

Le ragazze di Jacaranda Charity: un progetto nato da un desiderio comune

La storia della nostra amicizia è nata anni fa, precisamente al liceo, ricorda Valentina Ferron, una delle tre fondatrici. Siamo sempre state molto diverse tra di noi, ma questa diversità ha reso ancora più speciale il nostro rapporto.

 

Così Cristina – creativa del gruppo e amante del ricamo -, Barbara – precisa, versatile e maga della tavoletta grafica -, e Valentina – biologa con la passione del disegno a matita -, hanno unito le loro diversità per dare vita a Jacaranda Charity.

Il nostro progetto è nato da un desiderio comune, che durante il periodo di lockdown ha avuto modo di concretizzarsi, continua Valentina. Gli studi artistici ci hanno permesso di sviluppare la nostra creatività, che in questo caso è diventata protagonista e strumento della nostra attività.

L’idea di Jacaranda è infatti quella di realizzare disegni, ricami e stampe, il ricavato della cui vendita sarà destinato a progetti umanitari che a tutte loro stanno a cuore.

Ed è così che Valentina, Cristina e Barbara si sono avvicinate alla nostra Fondazione e ai nostri progetti, primo fra tutti #RidisegniamoLaScuola: in questo momento così difficile, sembra che l’istruzione sia stata messa un po’ in secondo piano; noi vogliamo evidenziare l’importanza della scuola, sia per una crescita culturale, ma soprattutto personale.

 

 

Jacaranda, una metafora per la scuola di oggi

Il nome Jacaranda deriva da una pianta originaria delle regioni tropicali del Sud America, caratterizzata da una chioma colorata che abbellisce i paesaggi, dando respiro a tutti gli esseri viventi.

Il nostro progetto, infatti, – racconta Valentina – si basa proprio su questa idea: raccogliendo i desideri delle persone, restituiamo loro qualcosa di bello e allo stesso tempo aiutiamo chi ne ha più bisogno.

Jacaranda racchiude in sé una metafora ora più che mai attuale: come la pianta raccoglie il nutrimento dal terreno e lo trasforma in una bellissima chioma rigogliosa, così la scuola dona il nutrimento ai suoi alunni, che lo fanno proprio e lo restituiscono sotto forma di domande, pensieri e idee.

Chiediamo a Valentina: come possiamo ridisegnare la scuola? Sviluppando il pensiero creativo. La creatività è un’abilità che va allenata e curata con tanta pazienza. È un forte mezzo che può aiutare ognuno di noi a vedere le cose da una diversa prospettiva.

Proprio per questo motivo è importante partire dal principio, dai bambini. Vorremmo una scuola che riesca ad aiutare i più piccoli a coltivare il loro lato creativo, continua Valentina. Sarebbe bello dare spazio al “fatto a mano”: bisogna farli sperimentare, dando loro la possibilità di essere stimolati e permettendogli di comprendere ciò che li circonda.

 

 

E tu come vorresti che fosse la scuola del futuro?
Scopri di più sul nostro progetto e scrivici il tuo messaggio sulla nostra pagina dedicata.
#RidisegniamoLaScuola, insieme!

La Giornata Mondiale di Educatori e Insegnanti: quando educare significa cura, scoperta e arricchimento reciproco

#educazione italia, #infanzia, #scuola

Il 5 ottobre è la Giornata Mondiale di Educatori e Insegnanti: in un momento in cui si parla tanto di scuola, di asili e di centri per l’infanzia, abbiamo voluto ascoltarli e dar voce proprio a loro. Ecco perché gli abbiamo chiesto che cosa li motivi e li appassioni, quali siano difficoltà e speranze, sempre e dopo la pandemia.

 

Servizi per l’infanzia: un tempo di scoperta, di crescita, di cura

La cura, come disposizione a far crescere l’altro partendo dai suoi bisogni e favorendo le sue potenzialità, è la cifra stessa dell’educare.
Franca e Gabriella, educatrice e coordinatrice pedagogica presso Asilo Primi Passi

“Chi conosce bene gli educatori sa che nelle loro case, oltre ai familiari, c’è quasi sempre anche qualcun altro di cui prendersi cura: quanti schermi durante il lockdown ci restituivano immagini domestiche con gatti, cagnolini, piante, fiori! Una cura che si dispiega nell’esercizio continuo di una passione vitale: l’attenzione all’altro.

Spesso ci tornano in mente i nostri nonni contadini: la campagna era la loro vita, un mondo di cui si sentivano parte, le cui necessità venivano prima del proprio io. Sapevano che la natura aveva i propri tempi, osservavano il cielo per capire cosa si preparasse e le foglie per sapere di cosa la pianta aveva bisogno. Soprattutto, nell’attesa, sapevano sperare: speravano nella forza di quei semi che avevano interrato, bagnato, concimato, scommettevano che ancora una volta la vita avrebbe saputo farsi strada e riprendere il suo ciclo nonostante la grandine e la siccità.

Questo è quello a cui ci sentiamo chiamati oggi: sperare per i nostri bambini, restituire loro un futuro fatto di stupore, di scoperta, di novità e non solo di paura. Ci è sembrato che restituire il contatto con la natura potesse aiutare: la natura è molto più che ‘fare attività all’aperto per ridurre i rischi di contagio’, ormai è chiarissimo che il futuro dell’intera umanità è indissolubilmente connesso con il rispetto e la cura per il proprio ambiente. Abbiamo scelto allora, come tema guida dell’anno, la storia di un piccolo seme: un semino temerario, che attraversando mille avventure, scopre le proprie risorse e cresce. Nel nostro piccolo orto, ben curato nella speranza che il nido riaprisse, quest’estate sono fioriti i girasoli: ora il ciclo della vita riprende il suo corso e i bambini sgranano i semi di quei girasoli per interrarli, con gioia e meraviglia.”

 

Sono sincera nel dire che il cuore rimane lì, in quel desiderio profondo di educare, perché nulla ti arricchisce di più di uno sguardo, di un sorriso, di un abbraccio di un bambino!
Francesca Porciatti, coordinatrice pedagogica Asilo Nido ‘Mondo Piccolo’

“Faccio la Coordinatrice Pedagogica dell’asilo nido Mondo Piccolo e della scuola dell’infanzia Piccole Tracce da 12 anni. Quando mi fu affidato questo incarico non credevo di essere in grado di riuscire in un ruolo così ‘ingombrante’; avevo appena 27 anni, mi ero laureata per fare l’educatrice, per stare con i piccoli, per vivere quelle piccole magiche esperienze di contatto, di crescita, di relazione speciale, e venivo invece catapultata in un universo di burocrazia, di carte, di telefonate, di incontri con le famiglie. Era demotivante sentirsi dire dai genitori, magari dopo una richiesta a cui non si poteva dare seguito, ‘con chi posso parlare?’, come se io non fossi all’altezza del compito e che doveva esserci un responsabile più ‘responsabile’ di me.

Le crisi d’identità si facevano macigni, decisi così di parlarne con la mia direttrice, dicendole che non mi sentivo all’altezza del compito. Ricordo ancora il suo sguardo perplesso mentre mi diceva: ‘perché ti ostini a rifiutare i tuoi talenti?’. Quella frase mi segnò nel profondo del cuore, la mia difficoltà nasceva dalla mia insicurezza? Arrivò l’ennesimo ‘con chi posso parlare?’. Indossai il più sincero dei miei sorrisi e risposi, per la prima volta, ‘con me!’. Cominciò così il primo di una lunga serie di incontri, mediazioni educative, consigli, materni e pedagogici, con i genitori dei nostri piccoli, che non erano mostri come li avevo visti fino a quel momento, ma semplicemente persone cariche di bisogni da soddisfare.

Oggi posso dirlo a gran voce, amo il mio lavoro, adoro essere di supporto alle mamme in difficoltà, adoro essere la guida delle educatrici nelle attività, continuare a studiare, giorno dopo giorno, per ricercare nuove esperienze e percorsi da proporre al personale educativo e ai genitori.

Certo, la ripresa delle attività è partita con grandi ansie; la gestione dei protocolli ci sembrava impossibile, rimpallate tra attenzioni e responsabilità. In realtà però, una volta interiorizzate le prassi, tutto è diventato più fluido. Certo, il nostro lavoro ha subito un grande colpo: l’utilizzo delle mascherine, il distanziamento, l’impossibilità di svolgere attività con i genitori… tutto ciò limita profondamente il nostro operato, privandoci di momenti fondamentali del fare pedagogico. Siamo però certe che presto si tornerà alla normalità, e riusciremo a ricominciare esattamente dal punto dove siamo state interrotte. Nel frattempo studiamo, alla ricerca di nuove proposte per ritornare a vivere, tutti insieme, momenti magici e indimenticabili!”

 

Essere educatori è una missione. È un continuo programmare, cercare stimoli, scrutare le intelligenze dei bambini per stimolarle al meglio. Ne vale davvero la pena, non potrei far altro nella vita se non stare con i bambini.
Tonia Spinelli, educatrice presso Asilo Nido La Tribù dai Piedi Scalzi

“Il mio non è un lavoro: il mio è un tempo di crescita, un tempo di dono, di sorrisi, di amore, di grandi conquiste, dove a crescere sono io con i miei  bambini, io educo loro e loro educano me, in uno scambio continuo. Vedere i loro progressi, soprattutto a seguito degli stimoli adeguati e studiati, spesso personalizzati, vedere i loro successi, il loro orgoglio nel raggiungimento di un obiettivo, accompagnarli nella crescita: è questo che mi motiva, oltre che l’amore e la passione per ciò che faccio. E nonostante la stanchezza, si torna a casa felici e arricchiti e con il desiderio di ripartire l’indomani e dare il meglio di sé.

A poche settimane dall’inserimento, i bambini hanno già appreso la routine. Mi chiedono di leggere libri, poi di rappresentarli e fare disegni sul racconto: mi piace pensare di esser riuscita in così poco tempo a trasmettere l’amore per i libri e la lettura. Di certo l’entusiasmo con cui mi appresto a leggere è il canale giusto, ma anche la routine e la loro apertura all’ascolto e alla meraviglia.

I nuovi iscritti stanno sicuramente vivendo una fase di inserimento un po’ più ‘dura’ rispetto agli scorsi anni, non sul piano ‘personale’ e del distacco (ambito in cui tutto rientra nella norma degli scorsi anni), ma su quello interpersonale e di conoscenza dell’adulto che hanno di fronte: con la mascherina e la visiera protettiva non riescono a interpretare le emozioni ed espressioni di noi adulti, appaiono confusi e spesso cercano di togliercele, facendo delle espressioni tra l’incuriosito e il perplesso. I vecchi iscritti, conoscendoci già, riescono a leggere i nostri occhi e non appaiono infastiditi dai dispositivi di protezione, da cui ormai sono circondati.

Ormai si sorride con gli occhi, o battendo le mani… i bimbi apprendono in fretta e si adattano in fretta, tanto che a volte mi chiedo se ricordano più com’era il mondo prima del Covid. Spero presto di potermi chiedere ‘chissà se ricordano com’era il mondo ai tempi del Covid…’.”

 

Da educatrice, è la curiosità nello scoprire e nel vivere nuovi colori ed emozioni la motivazione che, anche in questo momento di difficoltà in cui il grigio si fa spazio, mi fa accogliere quegli sguardi e provare a mostrare ai bimbi una nuova variante di colori.
Francesca Amabile, educatrice presso Centro Infanzia Pizzicalaluna – Cooperativa Solidee

“Capita a tutti di attraversare momenti grigi, bui, non ben definiti. E poi ecco che qualcosa arriva ad illuminare piano piano quei momenti. Succede che un giorno, per caso, ti trovi nel bel mezzo di un arcobaleno di colori, che non spazza via il grigio ma che gli fa compagnia, e lo rende meno triste, più sopportabile. Ricordo così il mio primo giorno di lavoro all’ associazione di volontariato ‘Volideali’.

Lavoravo con bambini, piccoli e grandi, che si aggiravano liberi nella struttura che rappresentava il loro e il mio luogo del cuore, dove si andava per stare insieme. Ricordo un laboratorio con tanti materiali, pieno di tanti rumori, suoni di pennarelli che cadono, sedie che si spostano, risate che coprono il mio ‘Buongiorno’ ma che non bloccavano, appena venivo avvistata, decine di braccia che mi avvolgevano e accoglievano. E poi ricordo i tanti sguardi che si incrociavano con il mio, anche quelli di tanti colori: occhi verdi, neri, marroni, azzurri… i colori dell’arcobaleno. Il tutto era immerso in un sano caos, perché nella struttura tutti erano intenti a fare qualcosa insieme, educatori e bambini, cooperando per portare a termine un lavoro: facile o difficile, bello o brutto non importava. Tutti utilizzavano colori ed emozioni, dando vita ad un’esperienza quasi magica, la magia dello stare insieme e del crescere insieme.
Questo è il mio ricordo di tanti anni fa, quando da volontaria mi recavo alla struttura dell’associazione di volontariato “Volideali” per svolgere attività con i bambini.

Oggi, da educatrice, mi reco in un nuovo luogo del cuore, il centro infanzia ‘Pizzicalaluna’, dove ritrovo altri sguardi, ma carichi della stessa intensità, braccia più piccole che ti si buttano al collo, bambini pronti ad essere accolti, suoni e risate. Poi ci sono loro, più forti e più marcati, perché con il passare del tempo e con la crescita personale e professionale se ne sono aggiunti altri: i colori. I colori di nuove e vecchie emozioni che vanno ad accumularsi su una tela che prende e cambia forma.”

 

Il nostro compito e insieme la nostra motivazione è di dare ai bambini la libertà di conoscere qualcos’altro, di creare relazioni semplici ma significative.
Maria Elena Trovato, educatrice presso Associazione Talità Kum

“La motivazione più forte per me riguarda il territorio: noi di Talità Kum viviamo infatti in un territorio molto difficile, dove tocchiamo con mano il disagio che colpisce molti bambini, fin da piccoli. Il nostro è un territorio ampio, in cui manca qualcosa di importante: la cura – dall’igiene all’educazione ai valori, che non tutti hanno o avranno la fortuna di riconoscere, perché a casa mancano.

Ed è proprio nello stare insieme che, dopo la pandemia, abbiamo trovato il punto dal quale ripartire: nonostante le mascherine e un iniziale impaccio, è stato bellissimo rivedere e riconoscere nei bambini la solita curiosità nell’osservare il nostro sguardo, le cose e le persone intorno a loro, e sentirsi parte nuovamente di una comunità. Noi ci siamo normalizzati grazie alla loro voglia di creare un filo rosso tra noi e loro, nonostante tutto.”

 

 

La scuola: un luogo di dialogo, relazione e arricchimento reciproco

Si pensa all’insegnante di sostegno come a un insegnante di serie B, un ripiego. Io lo considero invece “un battitore libero”: può permettersi di sperimentare, lavorare creativamente in un’ottica di didattica attiva e laboratoriale per perseguire degli obiettivi calati sui reali bisogni dei bambini.
Natan Sustovich, insegnante presso IC Confalonieri

“Faccio questo lavoro principalmente per me, perché mi fa stare bene e mi fa uscire tutte le mattine col sorriso. Credo che questo faccia la differenza, perché se riesco a sentirmi a mio agio in ciò che faccio, allora posso prendermi cura, intesa come sostare in relazione e raccontarsi vicendevolmente, degli alunni. Parlando con la mia compagna dei nostri lavori, scuola versus ufficio, spesso mi fa notare come ci sia, in ciò che facciamo quotidianamente, una differenza evidente a livello di soddisfazione personale. Ogni tanto le dico che potrei fare il concorso da preside, ma lei mi risponde che non fa per me perché dentro un ufficio morirei, perdendomi tutto il bello dell’insegnamento. E in effetti ha ragione: lavorativamente parlando ho iniziato come informatico, per poi capire che è un mondo che non fa per me. Non ho mai voluto lavorare tutto il giorno con delle macchine, ma con le persone, mi piace essere in relazione con la gente.

Se ripenso a me da bambino, ero uno di quelli ‘bravo ma non si applica’ e fondamentalmente non mi piaceva andare a scuola. Preferivo giocare con gli amici, sognando di diventare un calciatore, e dormire alla mattina. Se da bambino mi avessero detto che avrei fatto l’insegnante mi sarei messo a ridere considerando che odiavo la metà dei miei maestri e/o professori. Ho smesso di avere quest’odio in terza liceo: qui ho conosciuto dei professori che hanno fatto sì che si rivoluzionasse la mia concezione di scuolaPreferivano dialogare con noi dal posto, creando una sorta di dibattito funzionale che serviva non solo a capire cosa avessimo studiato, ma che andava a indagare il nostro ragionamento, il funzionamento di ognuno di noi. Probabilmente questo modo di agire, inconsciamente, mi ha spinto a diventare un insegnante. Io stesso, ora che lavoro anche come assistente in università, quando interrogo gli studenti cerco sempre di indagare il ragionamento che sta dietro e l’applicabilità di un determinato approccio o teoria, piuttosto che il mero esercizio dell’imparare a memoria dai libri.

Ora, con il rientro a scuola dopo la pandemia, sono stato piacevolmente colpito dai bambini, dalla loro voglia di normalità, di fare gruppo, di sostare in relazione gli uni con gli altri. Sono rimasto sorpreso dal loro modo di essere comunque bambini anche in una situazione così precaria come quella odierna della scuola italiana. Ritengo sia un segnale molto importante quello che ci stanno lanciando i bambini: un segnale di ripartenza, con le giuste precauzioni, ma da esseri umani e sociali.”

 

C’è un momento in cui una persona intuisce quale sia il suo posto o meglio per che cosa sia fatta. Ai miei alunni ripeto sempre che la vita, l’andare a scuola in particolare, è la scoperta continua di questo.
Elena Brasca, insegnante presso IC “Ermanno Olmi”, plesso Marie Curie

“Faccio spesso un esempio ai miei studenti: ‘Cosa potrebbe fare Valentino Rossi? Solo il motociclista! Lui è fatto per andare in moto! Il suo posto è in pista!’ Sì, perché è lì che si svela e si riconosce pubblicamente il suo talento, ma anche la forza di rimettersi in sella quando cade o accettare la sconfitta. Questa è la scuola: il luogo dove pian piano emergono i propri talenti accanto ai propri limiti. Si sperimenta il successo, qualche volta l’insuccesso, e il contributo che ognuno di noi può apportare. L’insegnamento non è mera didattica, ma l’accompagnare i propri alunni alla scoperta di sé. La scuola è il luogo privilegiato dove il rapporto affettivo ed educativo con i miei alunni si realizza.

Per me questa intuizione è nata da una sana invidia: ‘Voglio essere come lei!’ dicevo guardando la mia professoressa di italiano. Aveva la capacità di entrare in rapporto con me e i miei compagni in un modo affascinante. Mi colpiva che, nonostante fosse molto severa, avesse una capacità di introdurre un argomento che rendeva evidente la sua passione per ciò che insegnava. Secondo me il successo dell’apprendimento è legato al coinvolgimento emotivo dell’alunno con ciò che l’insegnante propone, che muove la sua intelligenza alla scoperta di ciò che lo circonda e della bellezza della realtà intera.

Quest’anno tornare a scuola è stata una grande gioia, offuscata però da diverse preoccupazioni rispetto al modo con cui avrei fatto didattica, o sulla rigidità (seppur giusta) dei comportamenti da tenere. Mi sembrava che per dei bambini di seconda elementare fosse una richiesta troppo alta e che questa li limitasse molto persino nella relazione con me e i compagni. Tuttavia, appena varcata la porta della classe, sono stata accolta da occhi sorridenti, da frasi come: ‘Che bello essere tornati a scuola!’, e fin da subito mi ha colpito la loro serietà e il loro impegno nel rispettare le norme per la sicurezza. Si può sperimentare una letizia anche se ci sono 10 regole da osservare? Questa secondo me è la sfida che tutti noi docenti e studenti dobbiamo affrontare quest’anno nella speranza di poter tornare presto a quella quotidianità e vicinanza che tanto desideriamo.”

 

Insegnare, dal latino insignare, “lasciare il segno”: ora più che mai l’etimologia di questa parola appare carica di valore.
Rita Gorgoglione, presso IC “Ermanno Olmi”, plesso Giacomo Leopardi

“Primo giorno di scuola del nuovo anno scolastico in era Covid. L’aula non è come ogni inizio: piena di colori, di cartelloni appesi alle pareti, di giochi e libri riposti negli scaffali che arredano la classe. Troviamo banchi distanti tra di loro, gel igienizzante e altre nuove accortezze da seguire. La campanella si risveglia dal suo lungo riposo, suona e accompagna l’entrata dei bambini.
Finalmente l’aula viene ripopolata dai veri protagonisti della scuola, dalla loro vitalità, da quegli sguardi contenti e attoniti allo stesso tempo, dai quali traspare un sorriso ‘mascherato’, pieno di speranza. È in momenti come questi, negli eventi che stravolgono la regolarità come l’arrivo di questa pandemia, che si fanno riflessioni importanti.

Questo cambiamento storico ha fatto prendere maggior consapevolezza dell’importanza della scuola, del fare scuola, delle competenze didattiche e psicopedagogiche che un insegnante deve possedere. Ha reso evidente la bellezza di questa professione, che si può svolgere solo se si ha una grande passione. Noi docenti abbiamo l’enorme responsabilità di formare le future generazioni, soprattutto alla scuola primaria, dove vengono poste le basi per la crescita cognitiva e socio-affettiva della persona. È di straordinaria importanza il ruolo dell’insegnante nel creare occasioni di apprendimento significative per i suoi studenti, che solo in presenza trovano la giusta collocazione e concretezza. Uno schermo virtuale non potrà mai sostituire il vero contesto scolastico, costituito non solo dalla presenza fisica delle persone, ma anche e soprattutto dalla loro interazione sociale.

Mi piace pensare al processo di insegnamento-apprendimento nella valenza pedagogica della “maieutica socratica”, dove il maestro aiuta a far emergere ciò che già sa il discente, in un’ottica di arricchimento reciproco del sapere.
A scuola non imparano solo i bambini ma anche gli insegnanti, l’apprendimento non ha età! 

Sono molte le speranze per questo nuovo anno scolastico. Sicuramente continuare a venire a scuola è la speranza più sentita. Per noi docenti è bello e di grande soddisfazione vedere dal vivo l’impegno che ciascun bambino mette nelle attività didattiche, la contentezza nell’essere riusciti a capire ciò che stanno svolgendo o meglio ancora comprendere un errore. Questa è la Scuola!