Autore: Giulia Verga
Diario di Classe: un luogo aperto e inclusivo per bambini e ragazzi
Diario di Classe è uno spazio, proprio come un diario personale, per raccogliere testimonianze intime ed emotive e accogliere le fragilità e i momenti di confusione tipici dei giovanissimi che si approcciano al mondo esterno. Uno spazio inclusivo e non giudicante che normalizzi le vulnerabilità, le debolezze e le risorse di bambini e ragazzi che vivono le nostre scuole. Un progetto dove poter decostruire stereotipi e aspettative, dove poter mettere in discussione il mito della competizione, della performance e del merito che, molto spesso, schiacciano e opprimono gli studenti.
Il progetto è il risultato di tutte queste esperienze e del lavoro creativo dell’illustratrice Susanna Morari, che ha saputo cogliere e restituire la ricchezza delle testimonianze.
Inclusione sociale: quando le diversità ci rendono unici
Nel Diario di marzo raccontiamo la storia di Anna, bambina di 6 anni con qualche difficoltà di apprendimento.
“Non mi piace leggere e scrivere, perché mi vergogno, non ricordo mai come sono fatte le lettere, a volte le vedo confuse, sembrano ballare e mischiarsi tra loro.”
Alcuni bambini che presentano le prime difficoltà d’apprendimento hanno vite familiari complesse, e spesso in queste famiglie gli spazi vitali dei più piccoli passano in secondo piano. Molti di questi alunni appaiono demotivati, oppositivi, stanchi.
Attraverso le attività proposte, il progetto “Stringhe – piccoli numeri in movimento” mira allo sviluppo e rafforzamento nei bambini delle cosiddette competenze trasversali (soft skills): capacità di stampo cognitivo, relazionale, metodologico e comunicativo. In particolare:
- autonomia e fiducia in sé stessi;
- capacità comunicative, di analisi, di lavoro in team;
- problem solving;
- resilienza e responsabilità.
Durante i laboratori Stringhe gli alunni vivono delle esperienze capaci di stabilire in classe un clima di allegria, sollievo e impegno. In questo modo, questi studenti riescono a ritrovare la voglia di fare, di attraversare le difficoltà con l’aiuto degli altri e riprendono contatto con il mondo dell’apprendimento dal quale si stavano gradualmente allontanando.
Leggi il Diario di Classe del mese di marzo »
Il progetto Stringhe è stato selezionato da “Con i Bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il Fondo nasce da un’intesa tra le Fondazioni di origine bancaria rappresentate da Acri, il Forum Nazionale del Terzo Settore e il Governo. Sostiene interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Per attuare i programmi del Fondo, a giugno 2016 è nata l’impresa sociale Con i Bambini, organizzazione senza scopo di lucro interamente partecipata dalla Fondazione CON IL SUD. È realizzato da Mission Bambini a livello nazionale insieme a: CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per le Tecnologie Didattiche, Cooperativa Stripes e Palestra per la Mente, Fondazione Laureus Italia, Avanzi; a Milano insieme a: Comune di Milano, Istituto Comprensivo “Cesare Cantù”, Istituto Comprensivo “Locatelli Quasimodo”, Istituto Comprensivo “Trilussa”, Fondazione Aquilone, Fondazione Maria Anna Sala; a Napoli insieme a: Comune di Napoli, Scuola dell’infanzia e primaria “30° C.D. Parini”, Associazione Celus; a Catania insieme a: Comune di Catania, Istituto Comprensivo Statale “Dusmet-Doria”, Associazione Talità Kum.
Abbandono scolastico in Italia: una possibile svolta
Che cos’è l’abbandono scolastico?
Con la parola abbandono scolastico si intende un’interruzione precoce degli studi che avviene spesso al termine della scuola media. Un concetto da non confondere con la dispersione scolastica, che è invece un rallentamento del percorso di studio causato da varie problematiche – come il cambio di indirizzo scolastico – che possono poi portare all’abbandono.
A livello internazionale, i giovani che si trovano in questa situazione possono essere definiti con due acronimi: i NEET (Not in Education, Employment or Training) sono quelli che non lavorano e non sono impegnati in nessun percorso di istruzione o di formazione; gli ELET (Early Leaver from Education and Training) sono coloro che non hanno mai completato il proprio percorso di studi.
Qual è la situazione del nostro Paese?
Secondo i dati Eurostat pubblicati nel 2022, l’abbandono scolastico è un fenomeno particolarmente diffuso in Italia: ben il 12,7% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni ha rinunciato a ottenere il diploma di scuola superiore o alla formazione professionale. Si parla comunque di un numero più basso rispetto al 2020, quando il tasso di abbandono arrivava al 13,1% (1). Tuttavia, proprio nel 2020, tutti gli Stati dell’Unione Europea si erano impegnati a ridurre la media degli abbandoni scolastici a meno del 10% (2).
Che conseguenze sta portando questo fenomeno?
A fine 2022 il Cedefop, l’agenzia dell’Unione Europea che si occupa delle politiche in materia di istruzione e formazione, ha pubblicato lo European Skills Index: una misurazione in una scala da 1 a 100 che confronta lo sviluppo delle competenze professionali in tutti gli Stati europei. In questa speciale classifica l’Italia si posiziona all’ultimo posto con soli 15 punti, cosa già accaduta nei due anni precedenti, anche se con punteggi leggermente più alti: 20 punti nel 2021 e 17 punti nel 2020. L’abbandono scolastico innesca un meccanismo per cui le ragazze e i ragazzi italiani rimangano privi di un titolo di studio rilevante; in questo modo faticano a sviluppare le competenze appropriate per trovare lavoro, per rendersi autonomi e per essere attivi all’interno della società.
Quali possono essere le cause dell’abbandono?
Per intervenire efficacemente in modo da ridurre l’abbandono scolastico è essenziale capire quali sono le cause che portano a questo fenomeno: in molti casi si tratta di problemi economici, con le famiglie che non possono garantire il proseguimento degli studi ai propri figli; ci possono essere anche motivazioni sociali, quando sono proprio le famiglie che non spingono i figli a completare la scuola perché non la ritengono così importante. Inoltre, sono molti i bambini che arrivano in Italia da un Paese straniero: per loro diventa ancora più difficile adattarsi ad un nuovo contesto e ottenere, quindi, un titolo di studio. Infine, esistono anche delle cause individuali, perché molti giovani hanno delle difficoltà di apprendimento o addirittura soffrono di ansia e, a volte, l’offerta formativa delle scuole non riesce a venire incontro a questo tipo di necessità (3).
Quali sono le possibili soluzioni?
In Italia sta per avvenire un cambiamento che potrà contribuire a risolvere il fenomeno dell’abbandono scolastico: parliamo dell’attuazione del PNRR – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – che punta a una crescita del nostro Paese in favore delle generazioni future. All’interno di questo piano, infatti, è compreso il progetto Futura, che prevede una serie di interventi nella scuola italiana grazie ad investimenti pari a 17,59 miliardi di euro fino al 2026 (4).
I cambiamenti previsti riguardano nuove infrastrutture scolastiche, un’avanzata formazione degli insegnanti, un miglior orientamento per studenti di scuole medie e superiori affinché possano scegliere liberamente del proprio futuro, una riduzione del numero di studenti per classe in modo da aumentare la qualità dell’insegnamento e, più in generale, un arricchimento dell’offerta formativa. Tutto questo ha come obiettivo quello di mettere la scuola al centro della crescita del nostro Paese, adattandosi pienamente alla dimensione europea; la disparità tra domanda e offerta di lavoro potrebbe essere colmata e molti più giovani potranno realizzarsi e svolgere un ruolo attivo nella società. Inoltre, è previsto un miglior supporto agli studenti con difficoltà di apprendimento, una sensibilizzazione sull’importanza della scuola e un maggior coinvolgimento delle famiglie nel percorso scolastico dei figli (4). In questo modo sarà possibile portare il tasso di abbandono scolastico almeno al 9% entro il 2030, come stabilito dal Consiglio Europeo (5).
Dove ci inseriamo noi?
Noi ci impegniamo direttamente per venire incontro ai giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono impegnati in nessun percorso di istruzione o di formazione: lo facciamo con il progetto AllenaMenti per il Futuro, che prevede un ciclo di incontri per aiutare ragazzi e ragazze a riscoprire i propri talenti, così che possano costruire la loro strada verso una professione che permetta loro di realizzarsi. Il prossimo corso prenderà il via nel mese di maggio 2023.
L’importanza di soluzioni come queste è sottolineata anche dall’Articolo 28 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che sostiene come tutti i ragazzi e le ragazze abbiano diritto a essere educati e istruiti adeguatamente, per evitare che possano abbandonare il proprio percorso scolastico (6).
Note
2.https://education.ec.europa.eu/it/document/education-and-training-monitor-2020-eu-factsheet?
4.https://pnrr.istruzione.it/wp-content/uploads/2021/12/PNRR.pdf
6.https://www.unicef.it/convenzione-diritti-infanzia/articoli/
Disuguaglianze e opportunità di vita: al centro i bambini
Le disuguaglianze sociali incidono con effetti a lungo termine sui bambini, rischiando di comprometterne lo sviluppo.
Con disuguaglianza sociale si intende infatti la differenza di condizioni, di posizionamento geografico, di risorse e possibilità di un gruppo sociale che ne pregiudica la realizzazione e l’autodeterminazione individuale.
Come sta il nostro Paese? Un po’ di dati.
La crisi pandemica e la forte accelerazione dell’inflazione stanno aumentando le già ampie disuguaglianze (all’interno del Paese) colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione, in particolare le donne, i giovani, gli stranieri, le persone con disabilità e le loro famiglie (1). Secondo i dati Istat più recenti, il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato dal 2005 al 2021, passando da 1,9 a 5,6 milioni – il 9,4% del totale. Le famiglie fragili sono invece raddoppiate da 800 mila a 1,96 milioni – il 7,5%.
La povertà assoluta è tre volte più frequente tra i minori, ed è passata dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021. Una panoramica particolarmente negativa è anche quella presente tra i giovani tra i 18 e i 34 anni: tra di essi si registra un aumento delle condizioni di povertà assoluta dal 3,1% del 2005 all’ 11% del 2021 – circa quattro volte tanto.
La misura della povertà assoluta fornisce la stima del numero di famiglie e persone con un livello di spesa per consumi così basso da non garantire l’acquisizione dei beni e servizi essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile. Rispetto alla povertà, a evidenziare quella che è forse tra le più drammatiche vulnerabilità dell’Italia è il dato dell’aumento della povertà nelle coppie con figli, nei monogenitori e nei giovani. (2)
La disuguaglianza nei bambinə – ostacoli e ripercussioni nell’infanzia
Sappiamo purtroppo che la crisi sanitaria provocata dalla pandemia, e la conseguente recessione economica, ha avuto e avrà un forte impatto sulla nostra società e in particolare su bambinə e adolescenti, aumentando ancora di più il divario tra coloro che hanno accesso a reti di protezione sociale e opportunità educative e coloro i quali ne sono invece privati. Una disuguaglianza dagli effetti duraturi, perché è proprio durante i primi anni di vita che si formano le competenze e la coscienza – civile, democratica, ambientale – essenziali per crescere e sviluppare le proprie potenzialità.
La prima infanzia rappresenta infatti un periodo cruciale nella vita delle persone. È il momento in cui si inizia a conoscere e capire il mondo, se stessi, gli altri. Economisti, neuro-scienziati e sociologi affermano che le competenze necessarie per crescere e vivere nel 21° secolo – cognitive, socio-emozionali e fisiche – si formano, in larga misura, a partire dalla nascita e prima dell’entrata nella scuola, seguendo un processo cumulativo. Proprio per questo le disuguaglianze tra i bambini, per quanto riguarda l’acquisizione di capacità e competenze, si formano ben prima di varcare la porta della scuola dell’obbligo. (3)
Entrando nel dettaglio, l’aumento delle disuguaglianze affonda le radici nell’aumento della povertà assoluta nei bambinə: essa è concentrata in alcune aree e tra le famiglie di origine straniera, ma dipende anche da un modello scolastico e da un sistema di istruzione che non riesce più a bilanciare la diversa provenienza socio-economica e culturale degli studenti. (4)
I dati Istat mostrano infatti come l’aumento delle disuguaglianze sociali riguardi in particolar modo i minori e in massima misura i minori stranieri. Di particolare impatto il tasso di povertà che riguarda i bambinə: è arrivato a essere il 14%, era il 3,9% nel 2005. Questo significa che oggi in Italia sono in povertà assoluta 1 milione 382 mila minori.
Un altro aspetto critico riguarda l’accesso all’istruzione. Con l’espressione disuguaglianze nelle opportunità educative ci si riferisce all’esistenza di disparità oggettive nel successo scolastico tra categorie basate sull’origine sociale, il genere e l’etnia. Restando in Italia, la pandemia ha notevolmente influito sull’apprendimento dei bambinə: la mancanza di device digitali, di una connessione domestica e di un grado di alfabetizzazione digitale adeguato da parte degli insegnanti, ha inevitabilmente incrementato le disuguaglianze sociali e culturali.
In base agli ultimi dati disponibili, solo il 13,5% dei piccoli frequenta un servizio comunale o convenzionato (194.567 posti su 1 milione 400 mila bambini 0-2 anni residenti in Italia). Includendo tutti i servizi alla prima infanzia, anche privati non convenzionati, si arriva al 24,7%, per un totale di 355 mila posti autorizzati al funzionamento, di cui il 51% pubblici, con divari territoriali molto pronunciati. (5)
Contrastare le disuguaglianze è possibile?
Sì, e può iniziare dal mettere al centro i più piccoli. Il World Social Report di UNDESA sottolinea come l’accesso universale all’istruzione sia la vera chiave per prevenire e contrastare le disuguaglianze. Tuttavia, occorre che il sistema educativo sia davvero accessibile a tutti e tutte.
Come l’educazione fa bene ai bambinə? Perché permette di rompere la catena della povertà trasmessa di generazione in generazione?
Per combattere le disuguaglianze e rafforzare l’inclusione, i ricercatori si sono concentrati sull’istruzione prescolare e primaria, unita al supporto per le famiglie e ai servizi sanitari, nonché ai programmi comunitari. «L’istruzione è importante per una serie di risultati nelle fasi successive della vita», spiega Paul Leseman, ricercatore presso l’Università di Utrecht nei Paesi Bassi. «Si tratta anche di stabilire un terreno comune, condividere e co-creare norme e valori, supportare l’interazione interetnica e promuovere la cittadinanza democratica». (6)
Come recitano gli articoli 2 e 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, “ogni bambinə ha diritto a essere protettə contro ogni forma di discriminazione. Ha inoltre diritto al riposo, al tempo libero, a giocare e a partecipare ad attività culturali”.
Perché bambinə e ragazzə possano essere consapevoli delle proprie possibilità, e diventare protagonisti attivi nello sviluppo dei propri talenti, è dunque necessario che tuttə abbiano pari opportunità educative, ricreative e di crescita.
Note
1. https://asvis.it/public/asvis2/files/Rapporto_ASviS/Rapporto_ASviS_2022/RapportoASviS2022.pdf
2. https://www.eticasgr.com/storie/approfondimenti/poverta-e-disuguaglianze-italia-istat-2022
3. https://www.epicentro.iss.it/scuola/prima-infanzia-e-poverta-educativa
5. https://www.epicentro.iss.it/scuola/prima-infanzia-e-poverta-educativa
Il benessere psicologico di bambinə e ragazzə è a rischio
Problemi riguardanti il benessere psicologico, in modo specifico mancanza di fiducia in se stessə, sensazione di noia, di confusione nel prendere decisioni, timore di ricevere critiche, incapacità nel riconoscimento, nella gestione e nella comunicazione delle emozioni sono frequenti tra i giovanə.
Senza l’adeguato supporto e vivendo in un mondo ricco di stress è possibile che queste problematiche sfocino in comportamenti auto-sabotanti, aggressivi o addirittura in veri e propri episodi di bullismo (1-2-3).
In anni recenti, studiosə e ricercatorə italiani hanno sottolineato l’importanza di promuovere la salute nei contesti educativi, cercando di assumere una prospettiva positiva e finalizzando gli interventi al miglioramento degli stili di vita e del benessere percepito (4-5).
Il contesto di riferimento
Ad ottobre 2021 l’Unicef ha reso noto il suo rapporto “On my mind” (6) dedicato alla salute mentale tra i giovanə di tutto il mondo, che evidenzia come vi siano ben 89 milioni di ragazzi e 77 milioni di ragazze che vivono con disturbi legati al benessere psicologico. A questo proposito, durante la pandemia si è discusso molto sulla salute mentale dei giovanə, che hanno dovuto fare i conti con una scuola del tutto diversa, che ha modificato profondamente non solo il modo di studiare ma anche le relazioni sociali.
Il rapporto mostra anche che il 19% dei ragazzi europei tra i 15 e i 19 anni soffre di problemi legati alla salute mentale, seguiti da oltre il 16% delle ragazze nella stessa fascia d’età. Complessivamente si stima che siano 9 milioni gli adolescentə in Europa (tra i 10 e i 19 anni) che convivono con un disturbo che mina il loro benessere psicologico. Tra le patologie rilevate l’ansia e la depressione rappresentano oltre la metà dei casi.
In Italia si stima che – nel 2019 – il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze fra i 10 e i 19 anni soffrissero di problemi legati alla salute mentale, circa 956.000 in totale. Fra le ragazze, la percentuale è maggiore (17,2%, pari a 478.554) rispetto ai ragazzi (16,1%, pari a 477.518).
Interessante è anche uno studio italiano riportato su “Frontiers in Pediatrics”, in cui vengono indicati i fattori di rischio per il disagio mentale, associati poi anche ai cambiamenti di stile di vita causati dal lockdown. Tra questi sono stati indicati: vivere nelle zone più colpite dalla pandemia, la perdita del lavoro di almeno uno dei genitori, l’utilizzo di social media, videogiochi e TV per più di 2 ore al giorno e rimanere soli gran parte della giornata. Ulteriori dati (6), dimostrano infatti che un giovane su cinque tra i 15 e i 24 anni dichiara di sentirsi spesso depresso o di avere poco interesse nello svolgimento di attività e “i giovani potrebbero sentire per molti anni a venire l’impatto del Covid-19 sulla loro salute mentale e sul loro benessere”.
Cosa si può fare?
L’analisi dei dati può essere, in prima istanza, scoraggiante e pericolosa, ma una lettura più approfondita ci offre spunti per iniziare ad agire, ora. Perché l’importante è proprio questo: il non agire porterebbe infatti a un costo elevato in termini di peso sulle vite di bambinə, ragazzə, famiglie e comunità.
Nel concreto, cosa può fare ognuno di noi?
- Se hai un figlio o una figlia che potrebbe essere in difficoltà con il proprio benessere psicologico, rivolgiti a figure specializzate o proponi loro un incontro con un psicologə.
- Informati sull’impatto che pandemia e DAD hanno avuto e continuano ad avere sulla vita deə più giovanə e sul loro sviluppo psico-emotivo.
- Supporta enti e associazioni che operano per aiutare ragazzə e bambinə a migliorare la propria salute mentale. Con noi puoi attivare un’adozione in vicinanza e dare un aiuto concreto a bambinə svantaggiati.
- Fai volontariato nelle scuole e aiuta chi ha delle difficoltà con lo studio. Sul nostro sito trovi un’intera sezione dedicata al tutoring, una soluzione preziosa contro la dispersione scolastica.
Note
1. https://www.rivistadipsichiatria.it/archivio/1872/articoli/20452/
2. Buzzi C, Cavalli A, De Lillo A. Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia. Bologna: il Mulino, 2007
3. Polan JC, Sieving RE, McMorris, BJ. Are young adolescents’ social and emotional skills protective against involvement in violence and bullying behaviors? Health Promot Pract 2013; 14: 599-606.
4. Petrillo C. Promuovere la salute nei contesti educativi. Comportamenti salutari e benessere tra gli adolescenti. Milano: Franco Angeli, 2008.
5. Santinello M, Dallago L, Vieno A. Fondamenti di psicologia di comunità. Bologna: il Mulino, 2009.
6. https://www.unicef.org/media/108161/file/SOWC-2021-full-report-English.pdf
Missioni all’estero: bambini e volontari di nuovo insieme
Estate 2022: dopo due anni di stop, riprendono le missioni dei nostri volontari all’estero.
Ed è proprio con tre delle nostre volontarie – Ilaria, Valentina e Maria Elena – che abbiamo viaggiato in Repubblica Dominicana, più precisamente sul nostro progetto di educazione a Puerto Plata.
“È stata un’esperienza meravigliosa – racconta Maria Elena – Ho visto la realtà così com’è, senza filtri, ma allo stesso tempo mi sono sempre sentita al sicuro. La cosa più bella è la relazione che crei con i bimbi, che con un sorriso e uno sguardo ti trasmettono tutto”.
Partire per una missione all’estero è sicuramente un’esperienza unica, e lo diventa ancor di più se rappresenta il primo viaggio in un Paese così lontano e in un contesto caratterizzato da disagio e povertà. È dunque normale, come ci raccontano le giovani volontarie, sentirsi spaesate i primi giorni; allo stesso tempo, provare l’adrenalina che caratterizza le prime esperienze ti fa scoprire di avere uno spirito di adattamento che mai avresti pensato di possedere.
La proprietaria dell’appartamento dove alloggiavano le ha trattate come figlie, le persone del luogo sono state super calorose e accoglienti. Anche i bambini sono certamente stati d’aiuto nel farle sentire a casa: tra attività ludiche in cortile, laboratori di disegno e qualche breve gita, il clima si è fatto subito più leggero. Ci raccontano che i più piccoli tendono ad affezionarsi subito e a essere più espansivi, mentre i più grandi ti guardano con curiosità e con loro si viene a creare un rapporto di dialogo e complicità.
“Abbiamo percepito un senso di dignità molto profondo, il che non è scontato – fa notare Ilaria. I bambini erano sempre puliti e ordinati, venivano educati all’igiene, e gli spazi comuni erano sempre in ordine… Viene dato molto valore e importanza all’educazione a tutto tondo.”
Ilaria, Valentina e Maria Elena si sono portate a casa bellissimi ricordi da questa missione, definendola “una botta di vita ed energia incredibile”, e non vedono l’ora di ripartire per un’altra esperienza a contatto con i nostri bambini.
Scopri le nostre opportunità di volontariato con i bambini »
In Bangladesh dai Dalit: tra consapevolezza del presente e sogni per il futuro
Oggi, con questo articolo che racconta la missione in Bangladesh della nostra Program Coordinator Maria Torelli, vogliamo non solo parlarvi del contesto in cui vivono i bambini che insieme sosteniamo; vogliamo che sia anche l’occasione per dare voce ai bimbi, alle ragazze, alle mamme e ai papà che vivono nei villaggi, nonché dare valore all’operato del nostro partner locale DALIT NGO e del Direttore Esecutivo, Swapon Kumar Das, detto Lino.
Uno sguardo a tutto tondo
I Dalit, i “fuori casta”, sono circa il 5% della popolazione, anche se non vi è mai stato un censimento ufficiale poiché, secondo la Costituzione del Bangladesh, le caste non esistono più. Nella pratica però il sistema risulta tuttora in vigore; secondo il governo i Dalit sarebbero 6 milioni, ma si stima che siano decisamente di più (circa 9-10 milioni).
La zona del progetto (distretti di Satkhira e Khulna) è situata nella parte sud ovest del Bangladesh, nel distretto di Satkhira, non lontano dal confine con l’India.
A discapito della crescita economica costante, il Bangladesh rimane un paese povero, con il 14,3% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. Sono in particolare le comunità fuori casta i gruppi più emarginati dal punto di vista sociale, economico e politico e che vivono in condizioni di povertà o di povertà estrema. Molti fuori casta, infatti, pur abitando in villaggi rurali, non possiedono terreni e molto spesso cambiano la loro principale occupazione, svolgendo impieghi giornalieri saltuari. Molti bambini, a causa delle difficoltà economiche della famiglia, sono spinti dai genitori a cominciare a lavorare in giovanissima età, e molte ragazze sono costrette a sposarsi giovanissime con matrimoni combinati per non pesare sull’economia familiare. Le condizioni socioeconomiche della popolazione, inclusi i Dalit, sono inoltre peggiorate sia a causa della pandemia da Covid-19, che in Bangladesh è stata affrontata con ripetuti lockdown estesi, sia a causa della guerra in Ucraina che ha fatto più che raddoppiare il prezzo dell’olio da cucina e aumentare significativamente il prezzo del riso, che lì è l’alimento base.
Diamo voce a coloro che vogliono farsi sentire
Il progetto educativo si rivolge a circa 900 beneficiari, ed ha come obiettivo il raggiungimento di un’educazione inclusiva e di qualità per migliorare il livello di alfabetizzazione e istruzione dei bambini e delle bambine fuoricasta e di altre comunità marginalizzate, favorendo l’inserimento scolastico nelle scuole pubbliche e riducendo la discriminazione affinché possano evitare il drop out e raggiungere il diploma primario e secondario e, per le ragazze più meritevoli, continuare con gli studi terziari.
Nel primo villaggio in cui abbiamo fatto tappa, quello di Dhulanda, abbiamo incontrato una ragazza che si è sposata in VIII classe e che ha un bambino di qualche mese, e poi un gruppo di ragazze madri che dialogavano con alcune ragazze non sposate.
Mamma 1: “Mi sono sposata a 15 anni, quando ero in X classe e ho un figlio di 2 anni. Non volevo, ma i miei genitori hanno insistito. Avrei voluto continuare a studiare ma mio marito dice che non abbiamo abbastanza soldi.”
Mamma 2: “Anche per me è andata esattamente così, ho un figlio di 2 anni nato subito dopo il matrimonio”
Mamma 3: “I miei genitori mi hanno obbligata a sposarmi quando facevo la V. La mia famiglia è molto povera e non avrebbero potuto mantenermi. Hanno pagato 25.000 taka (circa 250 euro) per la dote, anche se sarebbe vietata per legge, e mio marito esige ancora un’integrazione. Se penso a mia figlia, certamente questo a lei non avverrà, dovrà finire gli studi prima di sposarsi.”
Mamma 4: “Anch’io mi sono sposata in V. Non ero d’accordo, ma poi ho dovuto cedere. Sono sposata da 5 anni e ho un figlio di 3. Spero che lui possa continuare gli studi e che poi trovi un buon lavoro.”
Mamma 5: “La mia storia è un po’ diversa perché io ho acconsentito al matrimonio. Durante la pandemia ero in XI classe e non sapevamo per quanto tempo sarebbe continuato il lockdown. Avevo già 17 anni e temevo che l’isolamento sarebbe durato per anni, impedendo la ripresa dei miei studi e rendendo più difficile trovare marito a causa della mia età avanzata, quindi ho pensato che fosse meglio sposarmi.”
Ragazza non sposata: “E’ molto utile ascoltare le storie delle ragazze che purtroppo hanno dovuto sposarsi prima di diventare maggiorenni. Ho deciso che voglio continuare gli studi e sposarmi solo dopo aver trovato un lavoro. Non ci sono motivi che possano indurci a sposarci prima. Anche se i nostri nonni sono anziani e vorrebbero vederci sposate, noi dobbiamo dire che quello che conta è il nostro futuro. Io attualmente frequento la XII e vorrei diventare poliziotta.”
Nel villaggio di Muragachha abbiamo parlato con un gruppo di mamme e nonne presenti fuori dalla scuola, a cui si è rapidamente aggiunto un gruppo di padri con i quali si è discusso di educazione e matrimoni precoci.
Madre 1: “Io non sono mai andata a scuola. Non so di preciso quanti anni ho, ma credo circa 40. Sentendo questi discorsi, quasi quasi viene voglia anche a me di andare a scuola. E’ davvero importante che i nostri figli continuino a studiare.”
Padre 1: “In passato il nostro villaggio era conosciuto perché eravamo soliti mangiare la carne di mucche ormai morte che erano state gettate nel fiume. Ora questa pratica appartiene al passato. Ma adesso non dobbiamo guardare al passato, quello che è stato è stato. Io ho fatto sposare mia figlia quando frequentava l’VIII classe. Quattro mesi fa suo marito l’ha ripudiata ed è tornata a casa. Ho capito di avere sbagliato e ora vorrei che possa riprendere gli studi.”
Nel villaggio di Balia abbiamo incontrato i membri dello Youth Club poiché, essendo pomeriggio, le lezioni nella scuola DALIT erano terminate. Gli Youth Club sono associazioni, presenti nei diversi villaggi, con membri dai 16 anni ai 35 anni che frequentano almeno l’VIII classe.
A Balia il gruppo è composto da 30 persone, di cui 5 ragazze. Il club, attivo dal 2019, sta svolgendo un ottimo lavoro per quanto riguarda la relazione con il governo e in particolare la possibilità di accedere a opportunità governative, ad esempio il technical training (autista, riparatore di frigorifero, riparatore di computer…) o per sussidi per persone appartenenti a categorie vulnerabili spesso analfabete, o ancora per risolvere difficoltà del villaggio (mancanza d’acqua, elettricità, pavimentazione strade etc). Ha inoltre un ruolo fondamentale nella prevenzione dei matrimoni precoci e nella sensibilizzazione sull’uso di droga e i rischi dei social network. Durante la fase acuta della pandemia i membri hanno distribuito mascherine e hanno registrato gli abitanti per le vaccinazioni. Intervengono anche per risolvere controversie, mentre prima venivano chiamate persone di alta casta che le alimentavano per impadronirsi dei terreni. Hanno infine organizzato un torneo di sport e competizioni culturali con altri villaggi per conoscersi, e preparano eventi di danza per i bambini che a scuola sono generalmente esclusi da queste attività in quanto Dalit.
Giovane 1: “I nostri genitori pensavano che la nostra condizione di marginalità fosse il nostro destino e che fosse sufficiente mangiare e vivere perché non sapevano neanche cosa fosse l’educazione. Ma adesso i loro occhi si stanno aprendo sulla discriminazione e la violenza da parte di alcune persone di alta casta. Il nostro ruolo fondamentale è quello di esigere che i nostri diritti vengano rispettati.”
Giovane 2, presidente del club: “Le nostre mamme non erano istruite, e senza educazione il futuro è buio. Noi vogliamo essere agenti di cambiamento e permettere al villaggio di liberarsi dai tabù grazie all’istruzione. L’aiuto di DALIT in questo percorso è stato fondamentale e in questi 3 anni abbiamo avuto risultati che non avremmo mai immaginato.”
Giovane 3: “Grazie alle attività svolte dal club, dal 2019 è avvenuto un solo matrimonio precoce. Siamo invece riusciti a sventare 3 tentativi di matrimoni precoci nel 2021.”
Abbiamo infine avuto l’occasione di parlare direttamente con alcune ragazze beneficiarie del programma Borse Rosa.
Sopna: “Sto studiando per la laurea triennale in inglese. Mio padre fa il contadino e mia madre è casalinga. E’ importante che le ragazze siano istruite adeguatamente. Poi si può scegliere di essere moglie e madre, ma non va bene diventarlo essendo analfabete.”
Pushpa: “Studio giurisprudenza a Khulna e vorrei diventare giudice. È molto interessante vedere qui con noi oggi due donne: una (Nazmun Nahar, Upazila Women’s Affairs Officer di Tala, NdR) è un esempio vivente di cosa si può fare per prevenire i matrimoni precoci, l’altra è venuta dall’estero quindi è la dimostrazione che anche le donne possono viaggiare da sole se studiano. Prima non c’erano opportunità educative per i Dalit, non avevamo scelta. Ora dobbiamo cambiare mentalità: noi donne, insieme agli uomini, possiamo essere agenti di cambiamento. Noi ragazze dobbiamo sempre ricordarci che dobbiamo essere gentili come fiori ma anche forti come il fuoco.”
Sumita: “DALIT mi ha sostenuta nel mio percorso educativo sin dalla scuola dell’infanzia e ora studio all’università. La mia esperienza non è stata priva di ostacoli, perché in IX avevo scelto di studiare scienze ma ho avuto difficoltà a passare l’esame di Secondary School Certificate alla fine della X e ho capito che sarebbe stato meglio passare al curriculum arte e, dopo la XII, mi sono iscritta a economia. Vorrei essere d’esempio per altre ragazze e portare la luce alla mia famiglia, ai Dalit e al Paese.”
Priya: “Noi ragazze sostenute dal progetto sentiamo il bisogno di restituire almeno in parte quello che stiamo ricevendo; abbiamo infatti costituito un piccolo fondo attraverso il quale aiutiamo persone povere che hanno bisogno, o anche qualcuna di noi che non riesce a pagare la quota prevista per gli esami. Oltre a questo, interveniamo sempre quando sentiamo che nel villaggio si sta organizzando un matrimonio precoce, parliamo coi genitori e, se non cambiano idea, contattiamo DALIT e la polizia.”
Jaya: “Io sono del villaggio di Banka e, in parallelo agli studi universitari per i quali ricevo un supporto da DALIT, ho seguito un corso di artigianato organizzato dal governo con il sostegno del Giappone e sto aiutando 60 donne del villaggio a confezionare borse realizzate con la iuta. Abbiamo già ricevuto un ordine di 1000 borse.”
I bambini di Kitanga e l’istruzione: un tesoro di cui avere cura
Aggiornamento al 14 luglio 2022
Padre Gaetano, il responsabile di progetto, ci ha dato notizia di un evento capitato qualche giorno fa: purtroppo è bruciato un dormitorio della St Aloysius School, scuola secondaria in cui studiano le ragazze che sosteniamo con il programma Borse Rosa. Fortunatamente l’incendio è sopraggiunto all’ora di cena, quindi nessuna ragazza è rimasta ferita.
Le 113 ragazze ospitate nel dormitorio hanno perso i loro averi personali (materassi e biancheria da letto, uniformi, materiali didattici e igienici). I genitori e alcuni donatori locali si sono subito resi disponibili per occuparsi della ricostruzione del dormitorio, ma abbiamo bisogno anche del tuo aiuto per provare a restituire alle ragazze ciò che hanno perso nell’incendio.
Se ci seguite sui social – e se ancora non lo fate, questo è il momento giusto per farlo – saprete che due nostri colleghi, a fine maggio, sono stati in missione Cuore di Bimbi a Kampala, in Uganda. E poi cosa fai, sei in Uganda e non vai a trovare il nostro partner del progetto educativo? Così, dopo il buon esito delle operazioni salvavita per i bambini cardiopatici, Guido e Vincenzo si sono diretti a Kitanga da Padre Gaetano.
St. Clelia School: un’oasi sicura per gli studenti e le studentesse di Kitanga
L’esperienza di Kitanga nasce in risposta ad un bisogno fondamentale della comunità: l’istruzione, legata al sistema educativo ugandese, che così come si presenta è garantita solo alle classi sociali più agiate che possono permettersi scuole private costose.
La Scuola Santa Clelia è nata come asilo nel 2005; nonostante si trovi in una zona rurale ed accolga solo bambini poveri, si tratta di una scuola modello che nel 2020/21 si è classificata 103° su 20.000 scuole in Uganda, e prima della regione sulla base dei risultati ottenuti dagli alunni agli esami che certificano il completamento dell’istruzione primaria.
Nel corso degli anni il Responsabile di progetto, Padre Gaetano Batanyenda, ha fatto molto per i bisogni della comunità, costruendo accanto alla scuola anche un’area di sviluppo industriale (con mulino, falegnameria, laboratorio di lavorazione del metallo, sartoria), un ospedale e una banca sociale che si occupa di erogare attività di microcredito alle donne.
L’obiettivo del nostro progetto è quello di garantire il raggiungimento di un’educazione inclusiva e di qualità ai bambini della St Clelia School, che ad oggi sono più di 850, e il proseguimento alla scuola secondaria per le 24 ragazze attualmente sostenute.
Tre parole per descrivere la nostra missione: accoglienza, calore, gratitudine
“Siamo arrivati intorno alle 17, dopo un viaggio di qualche ora. Appena scesi dall’auto siamo stati accolti da un fiume di bambini e ragazzi, di tutte le età, con in mano palme e rametti di ulivo, con cartelli di benvenuto con scritti i nostri nomi, e da una banda che ha riempito di colore e ritmo la strada verso il Centro gestito da Padre Gaetano” – ci racconta Guido, ancora felicemente sorpreso da tutta quella calorosa accoglienza.
“Nei giorni successivi Padre Gaetano ci ha fatto letteralmente da guida: la visita alla scuola e alle numerose classi era d’obbligo, e qui abbiamo potuto assistere a qualche lezione degli studenti più piccoli e a momenti di formazione delle ragazze sostenute attraverso il programma Borse Rosa.
Ci ha poi mostrato la struttura – ad uso femminile – dove alcune ragazze frequentano laboratori di cucito, e ci hanno detto di essere contente di poter apprendere delle skill che saranno loro utili nel mondo del lavoro. Non poteva infine mancare una deviazione al Lago Bunyonyi, un posto magico dalle mille sfumature di verde e azzurro, raggiungibile scendendo a valle lungo una strada sterrata.”
Guido ci parla di giornate intense, dove ogni minuto è stato riempito da posti da vedere, persone da conoscere e cose da fare: tra queste ultime, ci racconta di come lui e Vincenzo siano stati coinvolti nel preparare e poi servire ai bambini per merenda – sotto lo sguardo attento del personale del Centro – il frullato di banane, raccolte direttamente dal bananeto adiacente alla scuola.
“È stato emozionante percepire e vedere con i nostri occhi la gratitudine verso Mission Bambini, sia da parte degli studenti che degli insegnanti. Sono tutti consapevoli che ricevere e garantire un’istruzione di qualità è qualcosa di importante e che si può fare solo insieme, collaborando e mettendo in comune le capacità di ciascuno.”
Il giorno dei saluti è infine giunto, e tutto lo staff della St. Clelia School ha organizzato un momento di festa con canti e balli per salutare i nostri colleghi; Guido ci assicura, e non facciamo fatica a crederci, che era impossibile non farsi coinvolgere da tutta quell’energia!
È appena uscito il nostro Annual Report, in cui potrai leggere come continuiamo a mettere al centro della nostra attenzione e del nostro operato i bambini, in Italia e nel mondo.
Scopri cosa abbiamo potuto fare grazie al tuo sostegno!
Guarda il report »
Vuoi fare di più?
Attiva una donazione microregolare, con soli 5 euro al mese contribuisci alla creazione di un fondo a sostegno dei bambini che ogni giorno aiutiamo, in Italia e nel Mondo. La tua donazione sarà destinata dove c’è più bisogno e durante l’anno ti aggiorneremo su come il tuo aiuto ha cambiato tante piccole vite.
Pensa a divertirti: diventa volontario!
Il volontariato? Per noi è tutta una questione di divertimento.
Lo sanno bene Désirée, Jasmine e Beatrice, che con le loro testimonianze ci hanno mostrato come fare il volontario è in primis una soddisfazione per sé: solo se si è felici di ciò che si fa si possono aiutare gli altri.
Tutoring per gli studenti: l’importanza delle relazioni
Tra le nostre proposte di volontariato c’è quella in cui i volontari, dopo essere stati formati, scelgono di offrire il loro tempo per sostenere gli studenti in difficoltà nello studio. Abbiamo raccolto un paio di esperienze, accomunate dal desiderio di aiutare gli alunni a ritrovare fiducia in se stessi.
“Il periodo di tutoring che ho avuto la fortuna di fare quest’anno è stata una svolta personale. Lavorare con i ragazzini delle scuole medie mi ha fatto crescere personalmente e mi ha insegnato molto. Ho potuto conoscere realtà diverse, aiutare ciascuno dei ragazzi a sviluppare abilità scolastiche e anche relazionali. È stata una delle migliori esperienze fatte, e spero di avere l’opportunità di rifarla. È sempre una gioia aiutare e vedere i bei risultati ottenuti.”
“È stata la mia prima esperienza come tutor ed è stata davvero bellissima. Ho conosciuto dei ragazzi pieni di sogni e di curiosità, ma inondati di insicurezze. Ogni lunedì conquistavamo disciplina e determinazione: le attenzioni di noi tutor regalavano a questi ragazzi il riconoscimento di cui avevano bisogno, e il loro impegno era una sorta di regalo per il nostro supporto. Molti di questi ragazzi sono l’incastro perfetto di culture lontane; il nostro incontro è stato spesso uno scambio di conoscenze, una condivisione del sapere, quindi questa esperienza è stata una ricchezza per entrambe le parti.”
Il volontariato si tinge di verde
Un’altra esperienza che possono fare i nostri volontari rientra nel progetto di educazione allo sviluppo sostenibile. Si tratta di incontri con classi di studenti per affrontare, tramite il gioco PiantaLà, il tema della tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, con l’obiettivo di contribuire alla consapevolezza di bambini e ragazzi sull’importanza della sostenibilità ambientale.
Ecco una testimonianza di chi ha vissuto questa esperienza in prima persona.
“Sono stata molto felice di aver preso parte a questa attività. Mi ha colpito l’entusiasmo dei bambini durante il gioco, ma soprattutto la loro tipica non-timidezza, che è proprio una bella energia da vedere. Per quanto riguarda i contenuti trattati nel gioco, li ho trovati molto educativi, penso che possano aver stimolato la curiosità dei bimbi e ad averli quindi avvicinati al tema della sostenibilità ambientale. Ho apprezzato molto questo tema in quanto penso che sia ad oggi imprescindibile sensibilizzare fin da subito i più piccoli: credo che questo possa davvero cambiare il futuro. Sì, questa attività mi ha fatto sempre iniziare la giornata con il piede giusto; mentre tornavo a casa in macchina subito dopo l’attività mi dicevo: ho fatto proprio bene ad andare.”
Vorresti conoscere le altre opportunità con cui puoi diventare volontario per i bambini?
Ti diamo appuntamento a martedì 14 giugno con Volontariando, il nostro corso di formazione gratuito dedicato a chi è interessato al mondo del volontariato e a chi si vuole avvicinare alla nostra Fondazione.
Organizza un matrimonio di cuore
Non può esserci matrimonio senza cuore, senza amore, senza emozioni; ma come rendere il cuore il protagonista delle proprie nozze?
Il cuore sta nei dettagli, nelle attenzioni e negli sguardi, ed è proprio con il cuore che ci si sposa.
Dunque, per organizzare un matrimonio di cuore si deve fare attenzione ai particolari: scrivere inviti personalizzati per le persone più vicine alla coppia, optare per segnaposti scritti a mano e, ovviamente, scegliere delle bomboniere che rappresentino l’Amore nella maniera migliore.
“Le bomboniere sono sempre atti d’amore. Cadeaux personalizzati per sorprendere, stupire e innescare il ricordo”. Così definisce le bomboniere Zankyou, il portale per organizzare il matrimonio, che mette a disposizione degli sposi moltissimi servizi come partecipazioni di nozze, oggetti di decorazioni, una Directory con i migliori fornitori del mercato e un Magazine con tanti consigli ed ispirazioni.
E, sottolinea, le bomboniere possono caricarsi anche di valori e amore che sconfina la conoscenza diretta, per diventare un principio assoluto. Un principio di aiuto e sostegno che guarda al futuro, lo stesso principio che da oltre 20 anni ci guida nel supportare bambini poveri, malati e svantaggiati in tutto il mondo.
Per questo abbiamo creato le bomboniere solidali: così che le vostre nozze si trasformino in un evento unico, in cui l’Amore si fa universale e coinvolga anche gli invitati in un atto che celebra il cuore e dona un futuro migliore a tanti bambini in difficoltà.
Perché il vostro sia davvero un matrimonio di cuore.
Zankyou, parlando delle nostre bomboniere solidali, ci ricorda che “gli invitati torneranno a casa con un gradito ricordo e a loro volta potranno decidere di optare per queste speciali bomboniere per i loro grandi eventi. Un atto di amore verso il prossimo, ma anche una scelta estetica ben definita.”
Nel selezionare le nostre bomboniere, infatti, un’attenzione particolare è stata dedicata allo stile e ai materiali, così che fare una scelta etica non tolga nulla all’eleganza e alla classe che si desidera per le proprie nozze.
Lo “Spazio Mission Bambini” a Milano e Padova
È partito nelle scuole di Milano e Padova lo Spazio Mission Bambini, un’aula dedicata dove i bambini delle classi coinvolte – accompagnati da personale specializzato – potranno sviluppare il pensiero creativo, le competenze cognitive e computazionali, nonché la comunicazione e la cooperazione tra pari.
Una base sicura dedicata ai bambini
“Questi sono bambini sani, ma hanno assolutamente bisogno di un supporto emotivo. Perché da soli non sono in grado di fronteggiare le situazioni di forte stress che stanno vivendo”. È questo il grido d’allarme lanciato dalla professoressa Sara Scrimin dell’Università di Padova (Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione), partner di Mission Bambini nel nuovo progetto all’interno delle scuole.
“Le scuole dove abbiamo avviato questi interventi – continua Scrimin – sono localizzate in contesti caratterizzati da forte povertà educativa e materiale. Alle spalle questi bambini hanno famiglie già fragili, duramente provate dalla pandemia anche sul piano economico. E le difficoltà delle famiglie si riversano inevitabilmente sui più piccoli”.
Perdita di concentrazione, comportamenti inappropriati e aggressivi, pianti incontrollati… È così che il disagio di bambini e ragazzini si manifesta in classe. “Per questo insieme alla Fondazione abbiamo deciso di creare all’interno delle scuole un ambiente fisico separato che svolga la funzione di “base sicura”. Un’aula dedicata dove lo studente, o un piccolo gruppo di studenti, può ‘ricaricarsi’ trovando il supporto emotivo che gli serve, anche grazie alla presenza di figure professionali come psicologi ed educatori in affiancamento agli insegnanti”.
È così che nasce all’interno delle scuole lo “Spazio Mission Bambini”. Grazie ai fondi raccolti attraverso la campagna “Illuminiamo la scuola” lanciata dalla nostra Fondazione lo scorso autunno, sono già due gli istituti coinvolti, per un totale di 400 studenti: a Milano l’Istituto Comprensivo Statale Arcadia, a Padova il VII Istituto Comprensivo San Camillo. Oltre allo spazio fisico, l’intervento prevede la realizzazione in aula, durante l’orario scolastico, di laboratori multidisciplinari utili a dare ai giovani studenti preziosi strumenti di regolazione emotiva. “Sono strumenti fondamentali – conclude Scrimin – perché se non sta bene, un bambino non apprende”.
Ti racconto: la parola agli insegnanti
Antonino Gullo, insegnante e referente del progetto presso l’ICS Arcadia di Milano, ci racconta:
“Il focus di noi insegnanti è sulla didattica, per questo l’intervento di Mission Bambini rappresenta una manna dal cielo: si prende carico della parte emotiva, attraverso personale specializzato. Gli psicologi del team entrano nelle aule ‘in punta di piedi’, proponendo attività laboratoriali sulla gestione delle emozioni. Osservano le dinamiche della classe e quindi possono poi proporre interventi mirati sul singolo bambino o su piccoli gruppi attraverso lo Spazio Mission Bambini, sempre con il coinvolgimento di noi insegnanti e durante l’orario curriculare. Durante le prime attività in aula i bambini sono stati bene e hanno mostrato interesse. Anche da parte degli insegnanti ho ricevuto riscontri positivi. Il primo seme è stato piantato: grazie a Mission Bambini, che ancora una volta è stata attenta alle nostre richieste per progettare insieme un intervento che risponde ai bisogni reali di bambini e ragazzi”.