San Valentino: una questione di cuore

#cuore di bimbi, #salute

Il 14 febbraio è il giorno di San Valentino, la festa dell’Amore, ma per noi oggi è una questione di cuore anche perché è la Giornata Internazionale delle Cardiopatie Congenite.

 

A questo proposito abbiamo intervistato il Dr. Stefano Marianeschi, Scientific Advisor del nostro progetto Cuore di Bimbi e Responsabile della Cardiochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Niguarda di Milano.

Il Dr. Marianeschi è il cardiochirurgo che opererà Daors, il bambino albanese arrivato a Milano poco fa per poter ricevere le cure che il suo piccolo cuore richiede.

Ve lo avevamo presentato qui.

cuore

  •  Si sta preparando ad operare Daors, che già aveva visitato un paio di anni fa in Albania. Con quale frequenza viaggia per visitare e/o operare bambini affetti da patologie cardiache?
    Purtroppo a causa della pandemia non quanto vorrei, prima dell’emergenza da Covid19 andavo in missione in Albania un paio di volte all’anno, inoltre quando possibile visitavo altre missioni in Africa e in Asia, arrivando a un massimo di quattro viaggi all’anno.

 

  •  Cosa può dirci della patologia di Daors, diagnosticato quando non aveva neanche due anni. È frequente lo screening in così tenera età? Cosa ha reso necessaria la sua diagnosi?
    Daors è affetto da una patologia congenita, il che significa che dalla nascita il suo cuore presenta una piccola malformazione. Circa 8 bimbi ogni 1000 nascono con questo tipo di problematica, inoltre, alcune patologie sono più complicate da diagnosticare e ciò che accade in Paesi come l’Albania, l’Uganda, la Zambia, o il Myanmar (tutti paesi in cui Mission Bambini opera) è che i medici in loco sono solo in grado di denotare una problematica nei bambini, ma sono necessari medici specializzati che si rechino come volontari per poter definire l’iter terapeutico.

 

  •  Come inizia, dunque, la diagnosi di bambini come Daors? Quali le prospettive per questi Paesi?
    La formazione dei medici locali non è specializzata come la nostra e alcune cardiopatie sono sconosciute, grazie a programmi come Cuore di Bimbi però le cose stanno cambiando. All’ospedale di Tirana c’è un centro di cardiochirurgia per adulti e bambini. Rispetto a 10 anni fa sono stati fatti grandi passi avanti. Ciò a cui si sta mirando è rendere indipendenti i medici locali, così che l’intervento di professionisti come me sia solo sporadico e di supporto.

 

Al momento il Dr. Marianeschi sta formando una studentessa, specializzanda dell’Albania. La giovane dottoressa, grazie ad una borsa di studio sovvenzionata dalla Fondazione, resterà all’Ospedale Niguarda per un anno, al fine di conseguire il master in cardiochirurgia con la scuola internazionale e possa così diagnosticare bimbi come Daors e operare in Albania.

 

  •  Approfondiamo la questione del cuore di Daors, in cosa consiste la sua patologia?
    Il piccolo ha un difetto interatriale, ossia un “buco” tra i due atri del cuore, può essere una patologia ben sopportata in età infantile ma porta ad un affaticamento del cuore precoce e un’aspettativa di vita ridotta rispetto a bambini sani. Inoltre, Daors soffre anche di insufficienza di una valvola del cuore.

 

  •  Cosa ne pensa del certificato di Non Curabilità emesso dall’Albania? Ci potrebbe spiegare meglio in cosa consiste?
    Il certificato di Non Curabilità implica che Daors non può essere operato in Albania, sebbene a Tirana ci sia un buon centro cardiochirurgico. Evidentemente il difetto interatriale, sommato all’insufficienza della valvola, lo rendono inoperabile.
    Tuttavia l’ideale sarebbe ridurre sempre di più l’emissione di questi certificati, perché significa che bimbi come Daors possono essere curati nel proprio paese d’origine e non sono costretti a dipendere da progetti come Cuore di Bimbi.

 

  •  Parlando proprio del programma Cuore di Bimbi, lei collabora da oltre 10 anni con Mission Bambini nell’ambito di questo progetto, guardando al percorso fatto cosa ci può raccontare?
    Da quando ne faccio parte il progetto è stato solo un crescendo, anche con la pandemia  si è sempre rimasti in contatto, ricevendo aggiornamenti sulla situazione nei vari paesi e dando supporto a distanza come possibile.
    Dopo aver visitato la maggior parte dei Paesi inclusi nel progetto, posso dire che ogni Paese ha le sue caratteristiche, il suo modo di fare le missioni, e io mi sono trovato bene in tutti. Lavorativamente e umanamente.

 

  •  Le emozioni penso siano una parte integrante del suo lavoro, cosa prova quando entra in contatto con i bambini di “Cuore di Bimbi”? Ci potrebbe raccontare il punto di vista della persona che materialmente salva la vita a dei bambini così piccoli?
    Ci sono due aspetti da considerare: quello tecnico, per cui è bene restare un po’ freddi durante gli interventi, altrimenti non è possibile operare nella maniera migliore. Poi c’è una componente emotiva di grande gioia e soddisfazione, ma anche di sofferenza quando le cose non vanno bene. Questo è un lavoro che crea emozioni molto forti, perché i bambini curati durante le missioni vengono incontrati e visitati una prima volta e poi subito operati. Dunque quando si incontrano è già evidente la perdita di peso o gli altri sintomi di scarsa ossigenazione: fa tanta emozione perché si percepisce appieno l’urgenza. Poi, dopo gli interventi sono gli occhi dei bambini a parlare: capisci che stanno meglio e hanno finalmente davanti tutta una vita. Vedi anche la riconoscenza dei genitori che osservano il bimbo rinascere.

 

  •  Quando tornerà in missione? Sa già la destinazione?
    A maggio, se la situazione rimane stabile, tornerò in Uganda.

 

  •  Vuole aggiungere qualcosa?
    A dispetto della fatica fisica, le missioni ricaricano le batterie.

 


Davvero San Valentino è una questione di cuore e puoi far battere anche tu il cuoricino di tanti bimbi, oggi.

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